Il 15 gennaio 1993, un’operazione di polizia del ROS dei Carabinieri, nota come Operazione Belva, segnò un punto di svolta nella lotta contro la mafia in Italia. Dopo quasi un quarto di secolo di latitanza, il temuto boss mafioso Salvatore Riina, conosciuto per la sua brutalità come Totò u’ curtu o la Belva, fu catturato. Questa operazione ha posto fine alla latitanza iniziata nel luglio 1969 e ha rappresentato una vittoria significativa per lo Stato italiano contro Cosa Nostra, in un periodo segnato dalle atroci stragi di Capaci e via d’Amelio.
Le mosse iniziali verso la cattura di Riina furono tracciate tra luglio e settembre del 1992, quando si tennero due importanti riunioni nella stazione dei Carabinieri di Terrasini. Qui, ufficiali sia dell’Arma territoriale che del Raggruppamento Operativo Speciale (ROS) misero in comune le informazioni disponibili per elaborare una strategia di cattura. La chiave del successo fu la collaborazione e lo scambio di informazioni tra i vari ranghi e reparti, guidati dal colonnello Mario Mori. In particolare, i dati forniti dal maresciallo Antonino Lombardo si rivelarono cruciali, permettendo di individuare una pista che portava a Raffaele Ganci, capo della “famiglia” mafiosa del quartiere Noce di Palermo e considerato un collegamento diretto a Riina.
Le indagini presero una svolta decisiva quando, a giugno, il Gruppo 2 del Nucleo Operativo Carabinieri di Palermo, guidato dal maggiore Domenico Balsamo e basandosi su fonti confidenziali, iniziò a indagare su Baldassare Di Maggio, un tempo fidato di Riina ma caduto in disgrazia e temendo per la sua vita. La sua posizione vulnerabile suggeriva la possibilità di una sua collaborazione in caso di arresto.
La rete investigativa si estese ulteriormente quando il colonnello Mori incontrò l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, che propose di agire da intermediario con Cosa Nostra. Ciò portò a un contatto con Antonino Cinà, medico di fiducia di Riina. Il generale dei Carabinieri Francesco Delfino, informato del piano, comunicò al ministro della Giustizia Claudio Martelli che l’arresto di Riina avrebbe potuto avvenire entro Natale.
La svolta giunse quando Di Maggio fu localizzato e arrestato in Piemonte. Le sue rivelazioni fornirono informazioni cruciali sulla possibile ubicazione di Riina a Palermo. Di Maggio identificò anche individui associati ai movimenti di Riina, ampliando così il quadro investigativo.
Con il coinvolgimento del magistrato Gian Carlo Caselli e il Procuratore Aggiunto di Palermo Vittorio Aliquò, si decise di non procedere immediatamente con le perquisizioni, bensì di mantenere un’attenta osservazione. I Carabinieri del ROS, guidati dal capitano Sergio De Caprio, noto come Ultimo, e la Sezione Anticrimine lavorarono in sinergia, utilizzando anche pedinamenti e intercettazioni.
Il 14 gennaio, dopo intense osservazioni e pedinamenti, i familiari di Riina furono individuati mentre uscivano da un complesso di villette a Palermo. Era chiaro che il cerchio si stava stringendo attorno al boss.
All’alba del 15 gennaio, mentre Gian Carlo Caselli si apprestava a prendere servizio come Procuratore di Palermo, Di Maggio riconobbe Riina uscire dal complesso di via Bernini 54. Fu immediatamente avviato il pedinamento del veicolo e, in una mossa decisiva, alle 09.00, il capitano De Caprio arrestò il capo di Cosa Nostra. Riina fu ammanettato su viale della Regione Siciliana, segnando non solo la fine della sua latitanza, ma anche un simbolico ritorno dello Stato di diritto in un territorio a lungo segnato dal dominio mafioso.