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Suor Cristina e gli altri: preti e religiosi insidiati dal “demone della visibilità”

Ogniqualvolta un sacerdote o un religioso lascia la tonaca è sempre una sconfitta per la Chiesa, da qualunque prospettiva lo si guardi. Se la sua vocazione era vera e sincera, dispiace che quella persona possa aver abbandonato il sentiero della felicità che Dio stava spianando per lei. L’amaro in bocca è quindi per il futuro dell’ex prete, seminarista o suora. Se, al contrario, non si trattava di una vocazione autentica, c’è da rallegrarsi sobriamente per la chiarezza che Dio ha fatto in quell’anima. Il rammarico, in questo caso, è per il passato di quella persona, per il tempo perso e per gli errori di valutazione che i “reclutatori vocazionali” possono aver fatto.

Si è molto parlato, nell’ultima settimana, dell’uscita dal convento di suor Cristina Scuccia, la religiosa orsolina, diventata nota per la sua partecipazione a The Voice nel 2014. Non conoscendo i dettagli della storia vocazionale di suor Cristina, né i tormenti del suo cuore e della sua coscienza, non abbiamo elementi per dire se la sua scelta sia stata giusta o sbagliata. Tutto ciò che le auguriamo è di ritrovare la fortuna artistica, di poter essere una moglie e una madre felice e, soprattutto, di vivere con pienezza la propria fede nella sua nuova dimensione laicale.

Una considerazione scomoda, comunque, va fatta. Farsi il sacerdote o il religioso e al tempo stesso coltivare una pur peculiare carriera canora non è di per sé sbagliato ma è certamente rischioso per la vocazione stessa. Svolgere un’attività “secolare” non è incompatibile con il ministero sacerdotale o con la vita monacale: si pensi a illustri scienziati come Niccolò CopernicoGregor Mendel o Antonio Barsanti o a musicisti come Antonio Vivaldi. A patto che tale attività, sia sempre esercitata in un’ottica di servizio a Dio e alla Chiesa. Chi è cattolico praticante di lungo corso, è probabile che nella sua vita possa aver conosciuto preti o suore dotati di straordinarie doti vocali che loro stessi, probabilmente, esibiscono negli specifici contesti della musica sacra. Le corde vocali come supremo tributo a Gesù.

Ben diverso è quando quegli stessi talenti vengono seminati in contesti mondani, come quelli di un talent show televisivo, sotto gli occhi di svariati milioni di spettatori. L’incompatibilità dei ruoli dopo un po’ emerge in tutta la sua forza e il caso di Cristina Scuccia non è certo il primo. I meno giovani ricorderanno sicuramente l’ascesa e il declino di due “frati canterini”, che avevano guadagnato una certa notorietà rispettivamente all’inizio degli anni ’80 e all’inizio di questo secolo. Stiamo parlando di fra Giuseppe Cionfoli e padre Alfonso Maria Parente: entrambi abbandonarono il saio e, in seguito, hanno rinunciato anche alla carriera artistica.

Diverso è il discorso se il sacerdote o il religioso utilizza le nuove tecnologie di comunicazione e propone linguaggi nuovi per diffondere il Vangelo. In tal caso, egli può e deve farlo: l’operazione non è esente da rischi ma vale sicuramente la pena correrli. Il grande successo riscosso da due sacerdoti-influencer, attivi soprattutto su TikTok, come don Alberto Ravagnani e don Ambrogio Mazzai, è la testimonianza che l’evangelizzazione attraverso i social è possibile e che il mezzo può diventare determinante, a patto che i contenuti siano sostanziali. In questo caso, abbiamo a che fare con preti che fanno i preti e non altro. Appariranno forse diversi dalla maggior parte del clero ma si presume non stiano esulando dal loro ruolo, né tradendo la propria vocazione.

Anche un prete o un evangelizzatore con un grande seguito, tuttavia, deve mantenere altissima l’attenzione intorno alla propria coscienza, perché le insidie sono sempre in agguato. È possibile rimanere un uomo di Dio, umile e obbediente per definizione, anche godendo di una visibilità così impressionante? La vanità è la tentazione più grande che il demonio pone sulla strada di chi predica il Vangelo. Ciò vale, a maggior ragione, per chi, utilizzando i social, si ritrova a interloquire in modo diretto con i propri followers, fronteggiando così l’onda lunga dell’approvazione o della disapprovazione. È proprio qui il discrimine tra la buona e la cattiva evangelizzazione: non importa quante persone “seguano” te ma quante persone, attraverso di te, seguano effettivamente Gesù Cristo. È meglio, allora un prete (o una suora) tiktoker che ha soltanto mille followers, riuscendo, però a convertirli tutti, piuttosto che uno con centomila seguaci, puramente attratti dalla sua loquela brillante.

A prescindere dall’autenticità della sua vocazione, è molto probabile che anche suor Cristina avesse un’intenzione sincera di diffondere il Vangelo con la sua musica. Qualcosa non è andato per il verso giusto. La visibilità mediatica è qualcosa di incontrollabile, è simile a una tempesta in mare in cui si può annegare ma, se ci si salva, si può arrivare molto lontano, aggrappandosi con tutte le proprie forze all’albero di una nave, il cui equipaggio è in terra e il cui capitano è in Cielo.

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Pubblicato inReligione

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