Come prevedibile, la lunghezza del conflitto in Ucraina, e i suoi costi economici ed energetici, stanno determinando l’ampliamento della fascia di opinione pubblica contraria al nostro sostegno militare a Kiev e favorevole, invece, ad una distensione dei rapporti con il Cremlino.
Tra i cittadini prevale un senso di preoccupazione e sconforto, sia per le difficoltà economiche a cui il Paese va incontro, che per il pericolo evocato che la guerra si allarghi e dia il via ad una nuova escalation. Come testimoniano alcuni sondaggi, la fetta di popolazione propensa ad abbandonare Kiev al proprio destino è ormai maggioritaria in Italia.
Errori di comunicazione
Pertanto, ci sembra opportuno evidenziare alcuni errori commessi sul piano comunicativo dalla politica e dagli opinionisti pur giustamente convinti di dover sostenere la resistenza ucraina, sin dallo scoppio del conflitto.
Come ha spesso dichiarato Daniele Capezzone nelle ultime settimane, c’è stata una sottovalutazione o una negligenza da parte delle istituzioni e di larga fetta dell’informazione in merito ai costi ed alle conseguenze che lo scoppio della guerra avrebbe comportato.
Non solo Kiev
In primis, si è colpevolmente presentato agli italiani il quadro di un conflitto limitato solo a Ucraina e Russia. In realtà, per stessa ammissione del Cremlino, l’attacco all’Ucraina non è altro che l’inizio di un attacco all’ordine internazionale a guida statunitense e occidentale. Un gesto d’aggressione che mira quindi non soltanto a far cadere il governo di Kiev e sottomettere gli ucraini, quanto a spaccare definitivamente il fronte occidentale e ridefinire i rapporti di forza e influenza in Europa.
Sin dal principio si sarebbe dovuta presentare agli italiani, senza reticenze e negazione delle implicazioni, la necessità di sostenere l’Ucraina per impedire che l’imperialismo russo potesse tornare ad espandersi in Europa.
Piuttosto che proporre ai cittadini la falsa alternativa tra “la pace ed i condizionatori”, sarebbe stato saggio dimostrare come l’abbandono dell’Ucraina avrebbe certamente comportato un futuro di incertezza e conflitti nel cuore dell’Europa, con i tank russi pronti a spingersi fin dove consentito dalla remissività occidentale.
Mancanza di trasparenza
Inoltre, errore che viene compiuto ancora oggi, si persiste nel voler nascondere o mitigare il peso del sostegno occidentale, e quindi anche italiano, a Kiev. La sensazione è che continuare ad apparire poco trasparenti nel raccontare il nostro impegno militare a sostegno dell’Ucraina, per esempio indugiando sulla sottilissima differenza tra “armi difensive ed offensive”, possa far sembrare il nostro Paese ipocrita agli occhi dell’opinione pubblica, quasi intenzionato a camuffare azioni di cui dovrebbe vergognarsi.
Sarebbe opportuno, invece – a quasi un anno dall’inizio della guerra – cominciare a prendere esempio dall’atteggiamento di altri Paesi, come Stati Uniti, Regno Unito, Polonia e Baltici, che hanno con chiarezza spiegato quale sia l’interesse strategico dell’Occidente in questo conflitto e quale sarebbe il costo politico ed economico di una resa di Kiev e di una vittoria totale di Mosca.
Il costo del disimpegno
Stando alle affermazioni recenti del Pentagono, il conflitto proseguirà almeno per tutto il 2023 e, nei prossimi mesi, assisteremo ad un nuovo attacco su larga scala da parte russa, volto a provare a conquistare nuovamente l’intero Paese, ed all’inizio di una controffensiva ucraina, intenzionata a liberare la Crimea e gli altri territori conquistati da Mosca fino ad oggi.
Due scenari che si materializzeranno – vedremo con che esito – sul campo di battaglia e che l’Italia non può far nulla per evitare. Come ha dichiarato dal presidente Giorgia Meloni, il disimpegno dell’Italia dalla causa ucraina non avrebbe alcuna ripercussione sulla guerra, piuttosto produrrebbe un drammatico risvolto per il nostro Paese.
Un nostro disallineamento dalla Nato avrebbe conseguenze deleterie. Nell’ottica della sacrosanta difesa del nostro interesse nazionale, è necessario quanto più possibile mostrarsi affidabili agli occhi di Washington e dell’Alleanza Atlantica.
Un Paese di media potenza nel panorama globale come il nostro non avrebbe alcun margine di manovra sulla scena geopolitica al di fuori della Nato o percepito dai nostri partner come inaffidabile. È al suo interno che dobbiamo tutelare e provare ad ampliare il nostro peso decisionale e la nostra sfera di influenza.
L’ambiguità non paga
Abbiamo assistito negli scorsi anni alle conseguenze di una politica estera debole, accondiscendente verso regimi come quello cinese, iraniano o russo. I legami economici e commerciali stretti con Pechino e Mosca hanno favorito la stretta di un cappio al collo che in questa fase geopolitica è una delle principali cause della nostra sofferenza economica.
Non aver rispettato l’impegno assunto in sede Nato del 2 per cento del Pil da destinare alle spese per la difesa ed aver rinunciato alla sovranità energetica nazionale ha prodotto lacune sul piano della sicurezza e favorito l’avvicinamento ai regimi autocratici.
Rischi ma anche opportunità
Il premier Meloni sembra averlo compreso, dimostrando lealtà all’Alleanza e l’intenzione di accrescere la fiducia degli alleati verso il governo, così da poter tornare a svolgere un ruolo nel Mediterraneo ed acquisire maggiore peso in Europa, puntare al sostegno di Washington per diventare un hub energetico per l’intero Continente.
Ambiguità verso i regimi, pochi investimenti nella difesa, divisioni ed errori dell’Ue hanno favorito l’ampliamento della sfera di influenza turca, cinese, iraniana e russa in Nord Africa e non solo.
Il Mediterraneo è per antonomasia il fronte sud di cui gli americani tendono a delegare la gestione ai partner europei verso cui nutrono maggior fiducia. Spetta ad un Paese importante come il nostro giocare un ruolo da protagonista in quel teatro e dimostrarsi capace di esercitare la sua influenza. È fondamentale quindi ricompattare l’opinione pubblica, spiegando onestamente i costi ma anche le grandi opportunità per l’Italia del nostro sostegno a Kiev.
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