La guerra in Ucraina infuria da oltre un anno e non ci sono segnali di una prossima conclusione. Il mondo occidentale si è prodigato per sostenere Kiev con addestramenti, aiuti finanziari, forniture di armi, sistemi difensivi, veicoli corazzati e altri strumenti, che hanno contribuito a complicare i piani iniziali di Putin.
Il conflitto, come noto, ha causato profondi stravolgimenti nel sistema economico globale, incidendo su una serie di asset class. In seguito all’invasione, infatti, l’Occidente ha imposto una serie di sanzioni nei confronti di Mosca, che hanno colpito le sue esportazioni e il suo sistema finanziario.
Tra i prodotti più influenzati ci sono senz’altro le materie prime: basti pensare alle forniture di energia dalla Russia e al ruolo di entrambi i Paesi direttamente coinvolti come “granaio d’Europa”.
L’impennata delle materie prime ha comunque consentito all’economia russa di limitare l’impatto dei provvedimenti occidentali, tanto da chiudere il 2022 con un calo del Pil di poco superiore al 2%, contro il crollo del 30% dell’Ucraina.
La pace tra Russia e Ucraina resta uno scenario improbabile
Il proseguimento della guerra comporta senz’altro ingenti oneri per entrambi i Paesi. La pace gioverebbe in misura maggiore all’Ucraina, devastata e sfiancata dai bombardamenti, ma avrebbe effetti positivi anche per la Russia, che oltre a non vendere più i propri combustibili fossili all’Europa deve fare i conti con aspetti come l’impossibilità di utilizzare tecnologie occidentali, il ritiro delle principali aziende mondiali dal proprio territorio, la percezione di partner inaffidabile.
A meno di sorprese, al momento, il cessate il fuoco rimane improbabile e anzi le tensioni si inaspriscono di giorno in giorno. La città di Bakhmut è sotto assedio, mentre a Tbilisi scoppiano rivolte contro il governo georgiano dopo una legge che ricalca il modello russo. Ci sono poi gli ultimi sviluppi in merito al sabotaggio del gasdotto Nord Stream che individuano una pista filo-ucraina. Ipotesi respinta da Kiev, mentre il Cremlino protesta per la mancata ammissione alle indagini.
Nel frattempo, i mercati globali sembrano essersi in un certo qual modo abituati alla guerra. Gli analisti tengono ovviamente conto delle incertezze legate al conflitto, ma difficilmente si spingono in previsioni sui possibili scenari futuri, dando quasi per scontata la situazione attuale. D’altro canto, la fine del conflitto potrebbe rappresentare un catalizzatore positivo, rimuovendo uno dei tanti fattori di incertezza che frenano la propensione al rischio, su cui pesano comunque anche altri problemi, come l’elevata inflazione o il rischio di recessione.
Secondo gli esperti di Credit Suisse, la Russia potrebbe valutare un trattato di pace solo in presenza di alcune condizioni imprescindibili, tra cui: dover pagare risarcimenti limitati, riottenere l’accesso alle riserve valutarie congelate e l’esonero dai crimini di guerra.
Le possibili conseguenze della pace per le materie prime
Un’ipotetica pace potrebbe innanzitutto portare ad un parziale ripristino delle forniture energetiche dalla Russia, allontanando la minaccia del razionamento energetico.
È anche vero però che molti Paesi si sono attrezzati per sopperire alla mancanza di combustibili fossili da Mosca e l’inverno mite in Europa ha consentito di conservare gran parte delle riserve. Anche i prezzi del gas, dopo la fiammata della scorsa estate, sono tornati accettabili, complice il clima più caldo e la diversificazione dei fornitori. Così il gas naturale TTF scambia in ribasso di quasi l’80% rispetto a un anno fa e il petrolio Brent è in calo del 35%. Entrambi sono al di sotto dei livelli precedenti l’invasione russa.
Russia e Ucraina sono anche grandi esportatori di cereali, soprattutto verso Paesi in via di sviluppo. Lo scoppio della guerra ha fatto momentaneamente impennare i prezzi del grano, ma l’accordo raggiunto poco dopo ha portato ad un rapido cambio di rotta delle quotazioni.
Gli altri driver per le materie prime
Anche nel caso di un’ipotetica fine del conflitto, alcuni fattori continuerebbero a sostenere i prezzi delle materie prime nel breve e nel lungo termine.
Innanzitutto, la riapertura della Cina implicherà un aumento della domanda di prodotti raffinati, anche per via della ripresa dei trasporti che accresce il consumo di benzina, gasolio e carburanti vari. Inoltre, il rilancio del settore immobiliare potrebbe alimentare la domanda di metalli industriali.
Per quanto riguarda i prodotti agricoli, molto dipenderà dai fattori climatici e meteorologici, che spesso hanno danneggiato i raccolti negli ultimi tempi, assottigliando le scorte.
Estendendo l’orizzonte temporale, i prezzi delle materie prime continueranno ad essere influenzati dalla transizione energetica, che comporterà un graduale abbandono dei tradizionali combustibili fossili e uno sviluppo sempre più ampio della produzione di energia pulita. In tal senso, molti Paesi hanno accelerato gli investimenti in tecnologie green e la concessione di aiuti statali per incentivare l’utilizzo delle rinnovabili e di forme di energia alternative. Provvedimenti in tal senso sono già stati presi dai maggiori Paesi mondiali, come gli Usa, la Cina (che a sua volta intende ridurre le importazioni dalla Russia) e l’Europa.
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