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Il freddo decennale di Bergoglio

È stato celebrato un po’ in sordina il decennale del pontificato di Bergoglio. Pochi commenti, pochissimi elogi, solo cronache freddine. Le ultime posizioni di Papa Francesco sulla guerra, sulla priorità della pace e la critica radicale del modello capitalistico occidentale, più alcune sue dichiarazioni in tema di famiglia, di nascite e di aborti, nonché la sua condanna degli scafisti come trafficanti umani, sono piaciuti poco al mainstream.

Dieci anni sono un soffio al cospetto dell’eternità e una briciola nella storia millenaria della Chiesa. Ma hanno dato al mondo l’impressione di una svolta radicale. Papa Francesco apparve da subito il Gran Simpatico, accolto fin dalle prime battute di quel 13 marzo del 2013 col favore dei media e la simpatia dei non credenti. Un papa alla mano, fuori dalla liturgia e dal carisma, estroverso e irrituale.

Qual è stato il tratto specifico che lo ha caratterizzato in questi anni? È stato avvertito come figlio del suo tempo più che della Chiesa, figlio della globalizzazione più che della tradizione. Globalizzazione girone di ritorno, ovvero dalla parte di tutti i sud del mondo, tutte le periferie, pauperismo e accoglienza. Ma nell’orizzonte globale, non più nazionale o europeo, e nemmeno occidentale o cristiano: un Papa aperto ai più lontani, che ama il prossimo più remoto, aperto agl’islamici prima che ai cristiani, ai protestanti prima che ai cattolici, ai poveri più che ai fedeli.

Così, almeno, è apparso all’opinione pubblica e così è stato presentato dai media. Tutto questo è stato nobilitato come un ritorno al cristianesimo delle origini.

E questo ha generato consenso e simpatia tra i più lontani dalla Chiesa e dalla fede cristiana. E diffidenza se non dissenso tra i più legati a Santa Madre Chiesa cattolica apostolica romana. Fino all’anatema di taluni e all’accusa di eresia. Ma il papato di Bergoglio deve vedersela con tre fattori di crisi che sono più grandi di lui: l’eclissi della fede e della religione, il tramonto della tradizione e della civiltà cristiana, l’irrilevanza dei cattolici in politica.

Il primo fenomeno non nasce col papato di Francesco ma affonda le sue radici in un processo secolare. E’ la scristianizzazione del mondo, l’irreligione occidentale, la perdita delle fede, della prospettiva ultraterrena e della pratica religiosa. Ma questo processo storico si è acuito e accelerato negli ultimi tempi: lo dimostrano il calo della devozione, delle vocazioni, dei fedeli a messa, l’affievolirsi del sentimento religioso. L’avvento di Bergoglio al pontificato non ha frenato, rallentato, attenuato questo declino, ma coincide con la sua accelerazione e acutizzazione. Non è un bel risultato pastorale, è una sconfitta religiosa.

Il secondo fenomeno discende direttamente dal primo, è lo spegnersi della tradizione, del sentire comune, dell’identità e della civiltà cristiana. La Chiesa di Bergoglio non è stata ecumenica ma globale, priva di un legame spirituale e identitario con la civiltà cristiana. Fino ad apparire in certi casi come una grande Ong, una specie di Emergency in abiti talari, perdendo il legame vivente con la tradizione. La Chiesa bergogliana vive quasi con fastidio la sua eredità millenaria, preferisce presentarsi come un’agenzia morale e sociale del presente, cita Bauman più che San Tommaso, rincorre l’attualità e baratta il carisma con la filantropia.

Infine il terzo fenomeno riguarda più da vicino l’Italia. Dai tempi dell’ultimo papa italiano, Paolo VI (papa Luciani fu una parentesi troppo breve), l’influenza dei cattolici in politica è andata via via scemando. Ebbe un colpo letale con la fine della Dc, ma sembrò riprendersi negli anni perché il Papato, la Conferenza episcopale, il ruolo dei cattolici divennero ago della bilancia in un sistema bipolare, un ruolo centrale anche se non più maggioritario. Le elezioni politiche registrano da anni l’irrilevanza del voto cattolico. E non mi riferisco solo al ruolo delle parrocchie e della sacrestie nell’indirizzare i credenti. Ma alle tematiche religiose o attinenti a temi cari alla chiesa. La coscienza religiosa è sparita nelle urne. Per la prima volta nella nostra storia civile, i cattolici sono ininfluenti nell’orientamento politico.

Una volta il Papa si trincerò dietro l’umiltà cristiana e disse: Chi sono io per giudicare? Verrebbe da rispondergli: sei il Papa, cioè il Santo Padre, e hai non solo il diritto ma il dovere di giudicare, di orientare, di esortare e condannare. Altrimenti vieni meno al Tuo ruolo pastorale, alla Tua missione evangelica. Viceversa, chi è Lui per giudicare, e di fatto relativizzare e cancellare, la tradizione cristiana e cattolica, il pensiero di papi, teologi e santi, la dottrina, la vita, l’ordo missae e l’esempio di martiri e testimoni della fede? Perché dovremmo piegare la verità al tempo e la tradizione millenaria agli usi e le fobie del presente? Questa domanda ci riporta al punto di partenza: Papa Francesco appare figlio più del suo tempo che della Chiesa, figlio della globalizzazione più che della tradizione. Lo avremmo voluto padre del suo tempo più che figlio; albero più che frutto e frutto più che foglia al vento del presente.

Infine segnalo un elogio assai curioso: monsignor Zuppi, presidente della Conferenza episcopale, ha notato che il messaggio del Papa piace più ai laici che ai credenti. E ha commentato: anche Gesù piaceva più ai laici che ai religiosi del suo tempo. Dimentica di dire che i religiosi del suo tempo non erano cristiani ma di religione ebraica; è ovvio che il sinedrio fosse diffidente verso una nuova religione che proclamava l’avvento del messia in terra. Oggi la situazione è diversa: il Papa ha più successo tra gli atei e i non credenti che tra i devoti e i credenti cristiani. Non c’è da essere contenti, anche perché quella simpatia non si traduce in conversione.
Ma le grandi ragioni del declino religioso non dipendono da lui. Nella migliore delle ipotesi il suo papato è un argine insufficiente alla deriva.

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Pubblicato inEditoriale

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