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Monsignor Viganò: La nostra fede, vittoria sul mondo

Vi propongo l’omelia di monsignor Vigano in occasione della Domenica in Albis, celebrata ieri

In questo giorno in cui la Chiesa prega per i neofiti, che sino a ieri indossavano la veste bianca ricevuta durante la Veglia Pasquale, tutta la liturgia è un inno alla Fede: l’esortazione dell’Epistola di San Giovanni, con la professione di Fede in Gesù Cristo Dio; nel Vangelo, l’episodio dell’incredulità di San Tommaso e della sua professione di Fede nella divinità del Salvatore: Dominus meus, et Deus meus (Gv 20, 28).

Le parole dell’Epistola, in particolare, mi sembrano appropriate ad una riflessione che potremmo applicare concretamente alla nostra vita quotidiana. Tutto ciò che viene da Dio vince il mondo, dice San Giovanni. E chi è che vince il mondo, se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Vincere il mondo: sembrano parole quasi illusorie, in un mondo che dispiega il proprio arrogante potere su tutto, in una società che offende pubblicamente Dio, che disprezza e rifiuta la Redenzione, che giunge a manomettere anche l’opera della Creazione, con mostruosità indegne di nazioni che si dicono civili.

Fuori da questa chiesa e a stento fuori dai nostri focolari domestici – soprattutto se ne teniamo lontano quell’infernale strumento che è il televisore – il mondo si sta capovolgendo, nell’indifferenza generale: ogni principio è sovvertito, ogni giustizia negata, ogni virtù è derisa mentre il vizio è celebrato e incoraggiato. Una società di morte, per persone morte nell’anima ancor prima che nel corpo: aborti, vaccinazioni forzate, eutanasie, oscene mutilazioni, omicidi, violenze di ogni genere sono ciò che contraddistingue questa società apostata e votata al male.

Morte, malattia, peccato, menzogna: su questo si estende il potere del principe di questo mondo. Ma se questo è il marchio distintivo della civitas diaboli, la vita è il marchio della civitas Dei, della città di Dio, dove Cristo regna con la Sua santa Legge. Cristo, che in quanto Figlio di Dio e Dio Egli stesso, ha patito ed è morto in Croce per redimerci dal peccato, e sulla morte ha trionfato il terzo giorno, risorgendo e mostrandosi ai Suoi discepoli e alle Pie Donne. Risorgendo, Egli ha ripagato il debito infinito contratto da Adamo dinanzi alla Maestà divina: non Gli apparteniamo solo come Sue creature, ma anche perché ci ha redenti, ossia riscattati, riacquistati. È il miracolo straordinario della Resurrezione, testimoniato come nessun altro evento storico, che rappresenta il fondamento della nostra Fede: questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. Ed ha sconfitto il mondo, perché il mondo non viene da Dio, e questo è il destino inesorabile di tutto ciò che si sottrae alla Signoria di Gesù Cristo.

Credere che Gesù Cristo è Figlio di Dio, ossia che è Dio Egli stesso, è l’atto soprannaturale con il quale sottomettiamo il nostro intelletto ad una verità rivelata, che si impone in ragione dell’autorità di Colui che la rivela, una verità evidente ai sensi. Siccome è Dio il rivelante, la Sua autorità non può essere discussa, così come la certezza che Egli è Verità somma e non ci inganna.

E questo assenso dell’intelletto, questo atto della Virtù teologale della Fede, si conferma e si rafforza con l’evento della Resurrezione. Nella Sequenza Victimæ Paschali abbiamo cantato: Scimus Christum surrexisse a mortuis vere, noi sappiamo che Cristo è veramente risorto dai morti, perché ci fidiamo delle testimonianze degli Apostoli, della Vergine Maria e di tutti coloro che hanno visto e toccato il Signore, hanno mangiato con Lui, con Lui hanno parlato e camminato.

La Fede Cattolica non schiaccia la ragione, perché sa che quanto Dio ha rivelato e pertiene all’ambito della Fede non può in alcun modo contraddire ciò che del Creato continuiamo ancora a scoprire. Essa mostra con fierezza la tomba vuota del Redentore, perché nessuna scienza potrà mai contestare che il miracolo prodigioso della Resurrezione sia la dimostrazione della divinità di Cristo, che ha resuscitato Se stesso e sconfitto la morte del corpo assieme alla morte dell’anima, entrambe conseguenza del Peccato Originale.

La veste battesimale che ieri i neo-battezzati hanno dismesso – in albis depositis – ci riporta alla mente la parabola delle nozze del figlio del re (Mt 22, 1-14), e all’antico uso dei sovrani orientali di inviare agli invitati anche le vesti con cui presentarsi al banchetto: per questo motivo il re, nel vedere uno degli ospiti senza veste, lo fa legare e gettare fuori dal palazzo. La veste nuziale è simbolo del Battesimo e della Fede, senza cui è impossibile accedere al Banchetto che il Signore imbandisce per molti, ma a cui solo pochi sono degni di prendere parte. Perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti (Mt 22, 14).

Da qui la necessità del Battesimo e della Fede, di quella veste bianca con cui dovremo presentarci al cospetto di quel Re che ci ha invitato al Banchetto celeste, le cui Grazie si spandono quotidianamente dai nostri altari. Ricordiamoci di conservare l’anima più bianca della neve, come cantiamo nell’antifona dell’aspersione domenicale, a ricordo del Battesimo pasquale. Ricorriamo con frequenza alla Confessione: è l’unico tribunale dal quale il colpevole, se è sinceramente pentito, esce assolto dalle colpe commesse.

E per evitare le sozzure del peccato, teniamoci lontani da tutto ciò che potrebbe macchiare la nostra veste bianca: dalle cattive compagnie, dagli spettacoli e dalle letture immorali, dalle insidie dei siti internet, dalla dissipazione e dalle oscenità dei programmi televisivi. Cerchiamo di vivere ogni giorno della nostra vita terrena come nell’antichità i neo-battezzati vivevano l’Ottava di Pasqua. ricordando il lavacro purificatore del Santo Battesimo, con il quale siamo divenuti figli adottivi di Dio grazie ai meriti infiniti della Passione del Signore. Ringraziamo la Provvidenza per la grazia di averci fatti Cristiani e per la Misericordia di cui beneficiamo nella Confessione sacramentale; testimoniamo con la nostra coerenza di vita di essere degni di quel Battesimo e disposti a dare la vita per Cristo, se questa è la volontà di Dio. Non vergogniamoci di combattere per la gloria di Dio, di difendere l’onore della Chiesa spesso contro i suoi stessi Ministri, di pretendere il rispetto della nostra Santa Religione da chi, in nome dell’inclusività verso il male, vorrebbe cancellarla dal presente, dal passato e dal futuro.

Il Cattolico non è il seguace di una religione umana, né di un profeta che è morto, né di un filosofo che ha lasciato ai posteri le sue idee. Gli idoli del mondo, le ideologie che esso propone rimestando tra antichi errori e nuove menzogne, sono opere di morte, che si disseccano al vento come il fieno d’estate. Non permettiamo che questa cloaca inghiottisca quel che rimane di vero, di buono e di bello su questa terra.

Noi siamo discepoli di Cristo, siamo Suoi seguaci, diamo testimonianza della Sua Divinità, della Redenzione che Egli ha compiuto, del destino di eterna beatitudine che attende tutti coloro che credono in Lui. Hæc est victoria, quæ vincit mundum: fides nostra. E così sia.

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

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Pubblicato inCristianesimo

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