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Abuso prolungato di antifascismo

Tra i suoi doni peggiori, il ventennio fascista ci ha regalato l’ottantennio antifascista, ancora perdurante. È una storia infinita, che ha stancato, ha nauseato gran parte della gente che pure non ha la minima nostalgia del fascismo ma lo considera semplicemente morto e sepolto. Non potete ancora aggrapparvi nel corrente 25 aprile del 2023 a quella data per discriminare gli italiani sulla base di un atto di fede assoluta.

È ridicolo pretendere che chi coltiva da una vita opinioni, memorie e giudizi storici diversi sul passato debba ripetere a comando, come scimmia ammaestrata, quel che gli impongono di dire: è un’istigazione al falso, alla doppiezza, all’ipocrisia. La pensa diversamente da voi, lui e chi lo vota; fatevene una ragione. Se fossi in voi, rifiuterei questa finzione e questa conversione, non la solleciterei affatto, mi darebbe fastidio. E poi, stiamo parlando di opinioni postume, di giudizi storici, non di ricostruzione del disciolto partito fascista, condannata dalle norme transitorie della Costituzione. Alla sinistra e satelliti dico nel loro stesso interesse: vi nuoce questo aggrapparvi all’antifascismo militante come religione politica, vi danneggia sul piano politico e umano, vi riduce al ruolo di setta e al rango reducistico di partito del rancore. Agli esponenti della destra, invece, dico di non seguire gli sfasciacarrozze di tutte le destre che vengono sfoderati per l’occorrenza per esortarvi a inchinarvi al diktat ricattatorio che vorrebbero imporre. Fate come feci io, dice l’uomo che portò alla disfatta tutte le destre, missine, aennine, filoberlusconiane. Un esempio da evitare, anche per l’esito disastroso.

Agli imputati di mancato zelo antifascista consiglio di tacere sul tema, di non esporsi in ridicole dichiarazioni ed esibizioni neoantifasciste; non fare acrobazie, penosi equilibrismi, e nemmeno dichiarazioni “temerarie”, facendo seguire penose scuse il giorno dopo. Meglio tenersi alla realtà presente e al ruolo istituzionale, come facevano i democristiani di una volta.

Al più adotterei una dichiarazione di principio congiunta, secca e perentoria di questo tipo: “difendiamo la libertà e la democrazia da ogni tentazione autoritaria, oligarchica e totalitaria – passata, presente e futura; l’amor patrio comune prevalga su ogni antistorica contrapposizione di parte, pur nella legittimità di avere giudizi storici e memorie differenti. Ed è più che maturo, anzi tardivo, il tempo di restituire il fascismo e l’antifascismo alla storia, liberando la politica da usi e abusi impropri e anacronistici del passato remoto. Coltiviamo la memoria storica ben sapendo che la nostra storia non comincia e non finisce il 1945.” E se lorsignori non sono soddisfatti di questa dichiarazione, peggio per loro.

A titolo personale, invece, non avendo ruoli istituzionali, riassumo da battitore libero perché non vado in piazza a festeggiare il 25 aprile. Lo dico in dieci brevi ragioni. Uno, perché non è una festa inclusiva e nazionale, ma è sempre stata la festa delle bandiere rosse; infatti non ci andava e non ci va la stragrande maggioranza del popolo italiano. Due, perché è una festa contro gli italiani del giorno prima, ovvero dimentica che gli italiani fino allora erano stati in larga parte fascisti o comunque non antifascisti e dunque li istiga alla menzogna e al trasformismo retroattivo. Tre, perché nega dignità e memoria a tutti coloro che dalla parte “sbagliata” hanno dato la vita per la patria, solo per la patria, pur sapendo che si trattava di una guerra perduta. Quattro, perché l’antifascismo finisce quando finisce l’antagonista da cui prende il nome: il fascismo è morto e sepolto e non può sopravvivergli il suo antidoto, nato con l’esclusiva missione di abbatterlo. Cinque, perché quando una festa cresce di tono e di fanatismo col passare degli decenni anziché attenuarsi, come è legge naturale del tempo, allora puzza di inganno e di uso cinico per altri scopi. E la stessa cosa, si sa, non accade con il comunismo e con ogni altro orrore. Sei, perché è solo celebrativa, a differenza delle altre ricorrenze nazionali: si pensi al 4 novembre in cui si ricordano pure le infamie e gli orrori della Grande Guerra; invece nel 25 aprile è vietato ricordare le pagine sporche o sanguinarie che l’hanno accompagnata e distinguere tra chi combatteva per la libertà e chi voleva instaurare un’altra dittatura. Sette, perché celebrando sempre e solo il 25 aprile, unica festa civile in Italia, si riduce la storia millenaria di una patria, di una nazione, ai suoi ultimi tempi feroci e divisi. Troppo poco per l’Italia e per la sua antica civiltà. Otto, perché la verità storica dice che l’Italia fu liberata dagli alleati e da una guerra mondiale. Basterebbe un solo dato: nel periodo della guerra di liberazione morirono meno di settemila partigiani e invece più di 90mila soldati americani persero la vita combattendo in Italia e sono sepolti nei cimiteri italiani. Questo dato, già da solo e relativo ai soli americani, dice tutto. Nove, non ha senso rovesciare il fascismo e il nazismo sulle spalle piccine degli esponenti di Fratelli d’Italia e continuare all’infinito questo giochino dell’oca sulla parolina proibita; l’ha detto, l’ha detto!, dimissioni, chiedi scusa, dissociati. Ma siamo seri, torniamo alla realtà, credete davvero che qualcuno di loro voglia riportarci al fascismo e al nazismo? Via, lo sapete bene che non è possibile, non è lontanamente pensabile un’ipotesi del genere, e fingete, fingete in modo sporco, vigliacco, in assoluta malafede, simulando allarme e raccapriccio.

Infine una riflessione: se, per assurdo, come immaginava Marco Ramperti nel suo romanzo del dopoguerra Benito I Imperatore, il fascismo fosse al potere ancora oggi, probabilmente io sarei antifascista, mentre molti antifascisti col pennacchio di oggi sarebbero anche in quel caso, conformi e ossequiosi trombettieri del regime vigente. E intimerebbero a quelli come me, di fare il saluto fascista e dichiararsi camerati… Come insegnava Totò, si nasce uomini o caporali.

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Pubblicato inEditoriale

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