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Tra gli scenari possibili in caso d’attacco: la distruzione delle fabbriche di chip per evitare che cadano in mano a Pechino

Ha presieduto un G7 alternativo e ad altissima tecnologia ieri mattina il premier giapponese Fumio Kishida. Nel suo ufficio di Tokyo ha riunito i boss delle aziende mondiali dei semiconduttori. Obiettivo: invitarli ad investire in nuovi impianti di produzione e ricerca in Giappone. Nel mondo globalizzato sono in corso grandi manovre per mettere al sicuro le famose «supply chain» (anche famigerate, per la loro vulnerabilità).

In primo piano ci sono le catene di approvvigionamento dei chip, componenti vitali per far muovere l’economia. Posto d’onore al tavolo di Tokyo per il ceo di TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co), leader mondiale nella produzione dei semiconduttori, che fornisce il 92% dei microchip di fascia più avanzata. Presenti al vertice con Kishida anche Intel, IBM, Micron Technology, Samsung, IMEC.

Negli Anni 80 i giapponesi dominavano l’industria dei chip, poi sono arrivati i taiwanesi di TSMC a guidare il settore. Il problema di TSMC è che Taiwan è sotto costante minaccia da parte cineseChe cosa succederebbe in caso di attacco o blocco navale intorno all’isola? Da mesi sono in corso grandi manovre politico-commerciali per costruire nuovi impianti di semiconduttori fuori dall’isola e mettere così in sicurezza la supply chain del settore. TSMC sta aprendo due grandi impianti in Arizona, con investimenti per oltre 40 miliardi di dollari, «incoraggiati» (per non dire quasi imposti) dall’Amministrazione Biden.

TSMC sta valutando dove diversificare la produzione in Europa, con qualche speranza per un sito italiano. Ma anzitutto, bisogna difendere Taiwan dalle mire cinesi.

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I politologi definiscono il primato taiwanese nei semiconduttori «silicon shield», uno scudo di silicio: la garanzia che la potenza militare americana farà di tutto per dissuadere i cinesi da un attacco, per non perdere le vitali forniture di microchip. In realtà, l’alta tecnologia taiwanese serve anche a Pechino, che è indietro nel campo dei microchip. Dunque, anche Xi Jinping guarda allo scudo di silicio, nel senso che sicuramente i cacciabombardieri e i missili del suo esercito risparmierebbero gli impianti dei semiconduttori nell’isola.

A Washington circolano piani per ogni contingenza. Uno scenario particolarmente inquietante è stato rivelato diversi mesi fa da Robert O’Brien, ex consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca sotto Donald Trump. Lo stratega americano ha citato l’inizio della Seconda guerra mondiale e Winston Churchill: «Dopo la resa di Parigi alla Germania, nel giugno 1940, c’era la flotta francese in gioco e Churchill non le permise di finire in mano ai nazisti». Il 3 luglio, con un’azione a sorpresa, la Royal Navy bombardò le unità francesi di fronte all’Algeria, per evitare che si consegnassero alla Kriegsmarine nazista, una corazzata fu affondata e cinque grandi navi colpite. «Gli Stati Uniti non permetteranno mai che le fabbriche taiwanesi di semiconduttori cadano in mano ai cinesi», ha avvertito. Mr O’Brien dunque, seguirebbe l’esempio di Sir Winston Churchill: cannonate e bombe sugli impianti TSMC.

Gli esperti militari americani spiegano che per non lasciare le fabbriche di microchip ai cinesi ci sarebbero sistemi meno cruenti del bombardamento: il sabotaggio degli impianti o l’evacuazione dei macchinari più «sensibili».

La soluzione da Dottor Stranamore (bombardamento per neutralizzare le fabbriche taiwanesi) è stata appena ritirata fuori da Seth Moulton, deputato democratico del Congresso, voce molto rispettata a Washington nel campo della Difesa. «Una delle idee interessanti per costituire un deterrente per un’invasione cinese di Taiwan è di far saltare in aria TSMC», ha detto durante una conferenza pubblica. E ha aggiunto: «Non è necessariamente la strategia migliore, ma è un esempio del dibattito in corso qui da noi, anche se naturalmente ai taiwanesi questa idea non piace».

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In effetti, a Taipei il ministro della Difesa Chiu Kuo-cheng non ha preso per niente bene «l’idea deterrente» dell’Onorevole Representative Moulton: «Le forze armate taiwanesi sono responsabili della difesa del territorio e della sua popolazione e delle sue risorse strategiche. Perciò, se loro vogliono bombardare questo o quello, noi glielo impediremo». Ragionando in modo più diplomatico sul tema, ha detto al Corriere l’ambasciatore Tien Chung-kwang, viceministro degli Esteri: «I semiconduttori non vanno trasformati in armi, vanno protetti perché servono allo sviluppo industriale di tutto il mondo ; noi certo non distruggeremmo le nostre fabbriche di microchip anche se ci trovassimo di fronte a un’invasione cinese. Ma bisogna anzitutto pensare in positivo e trovare un sistema per dissuadere Pechino da ogni avventura».

Guido Santevecchi

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