Un recente sondaggio condotto dall’Istituto Ipsos, intitolato “LGBT+ Pride 2023”, ha rivelato dati allarmanti riguardo all’identità di genere non binaria in Svizzera. Secondo questa indagine, il 6% dei cittadini svizzeri si identifica come transgender, non binario, “gender-fluid” o “diverso da maschio o femmina”. Questa percentuale rappresenta il valore più alto tra oltre 30 paesi analizzati, con la Thailandia che si posiziona al 5%. Italia, Svezia, Germania e Spagna seguono attorno al 4%.
Se si considerano anche tutte le persone che si sentono genericamente appartenenti alla comunità LGBTQIA+, quindi che si dichiarano “lesbiche, omosessuali, bisessuali, pansessuali, asessuali, transgender, non binarie, gender fluid o non maschili o femminili”, la percentuale sale al 13% in Svizzera.
Questi dati, utilizzati dai progressisti come argomento a sostegno della fluidità di genere, in realtà rivelano una preoccupante tendenza verso una concezione del genere del tutto estranea ai fondamenti scientifici della biologia. Se tali dati vengono usati come strumento di pressione e come “cavallo di Troia”, potrebbero portare a conseguenze ancora più pericolose, soprattutto in Paesi come la Svizzera, mettendo a rischio la protezione delle donne e dei bambini.
Si potrebbe aprire la porta all’introduzione della fluidità di genere e all’identità di genere nelle competizioni sportive, nel mondo del lavoro e negli ambienti più intimi per le donne, oltre che nelle scuole di ogni ordine e grado. È questo ciò che desideriamo anche per il nostro Paese, l’Italia?
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