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Il leader cinese ha tenuto sulle spine la diplomazia americana ma poi ha ricevuto l’inviato di Biden trasformando la sua missione in un sostanziale successo

Alla fine Xi Jinping ha dato udienza ad Antony Blinken: 35 minuti nella Grande Sala del Popolo su Piazza Tienanmen. L’incontro, incerto fino all’ultimo, è arrivato dopo due giorni di missione che a questo punto possono considerarsi un primo successo, se non sulla via della distensione, su quella della stabilizzazione delle relazioni tanto surriscaldate e pericolose da far rimpiangere a qualche politologo i tempi della Guerra fredda Usa-Urss.

Gli Stati Uniti non sostengono l’indipendenza di Taiwan ma sono «preoccupati per le azioni provocatorie» della Cina nello stretto, ha detto Blinken a Xi Jinping, ribadendo che Washington supporta la politica dell’«unica Cina».

Il breve faccia a faccia tra il presidente cinese e l’inviato di Joe Biden segnala che le due superpotenze stanno cercando di mettere un fondo alla spirale di inimicizia e provocazioni che fanno temere uno scontro aperto, anche militare. La prima dichiarazione sul colloquio è arrivata due minuti dopo l’inizio (segno che era già pronta), dalla signora Hua Chunying, dinamica direttrice della comunicazione degli Esteri per la Cina: «Il presidente Xi ha detto che le interazioni tra Stati dovrebbero essere sempre basate su mutuo rispetto e sincerità. Spera che questa visita americana possa dare un contributo positivo alla stabilizzazione dei rapporti».

Nel video mandato in onda dalla tv statale si è sentito che Xi diceva «… abbiamo concordato di proseguire sull’intesa raggiunta a Bali con il presidente Biden, sono stati fatti progressi, questo è molto bene». Nel breve colloquio, secondo il resoconto cinese, Xi ha osservato che Wang Yi e Qin Gang, i due alti diplomatici che hanno parlato in questa missione con Blinken gli hanno riferito di «discussioni franche e costruttive». «La Cina ha chiarito la sua posizione».

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L’inviato americano ha spiegato alla stampa di aver «sottolineato che la continua comunicazione ad alto livello è il modo migliore per gestire le divergenze e impedire che la competizione viri verso il conflitto». Anche Blinken si dice soddisfatto per aver sentito lo stesso concetto dai cinesi: «Siamo d’accordo sul bisogno di stabilizzare i nostri rapporti». Stabilizzazione, canali di dialogo, la benedizione di Xi alla missione di Blinken, ma il segretario di Stato ha dovuto riconoscere di non aver avuto risposta alla sua domanda più pressante per l’immediato: riaprire una sorta di linea rossa tra i comandi militari per evitare il rischio di uno scontro per errore in mare o in cielo, anzitutto intorno a Taiwan. Bisogna accontentarsi dei (piccoli) progressi politici. Anche questo risultato parziale non era affatto scontato.

Il cerimoniale di Pechino ha tenuto sulle spine gli americani fino a un’ora prima dell’incontro con Xi, facendo risalire a Blinken la scala gerarchica. Sarebbe quasi normale, in base al protocollo: non è mai sicuro che un presidente della Repubblica riceva un ministro in visita, per quanto Blinken sia il braccio destro di Joe Biden per la politica internazionale. La Repubblica popolare cinese ci ha aggiunto un tocco di vecchia procedura imperiale: i sovrani dinastici amavano farsi pregare e lasciavano aspettare i dignitari stranieri per giorni e anche mesi prima di accettare la loro genuflessione rituale e discutere di affari.

Però, venerdì scorso Xi è andato nella bella residenza statale di Diaoyutai (la stessa dove si sono svolti i colloqui di Blinken) per salutare il vecchio amico Bill Gates, miliardario e filantropo. La foto dell’evento ha aperto la prima pagina del “Quotidiano del Popolo”. Voltare le spalle a Blinken, negandogli un colloquio, sarebbe stato uno schiaffo sonoro.

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Comunque, oggi nessun titolo in prima oggi per lo sbarco di Blinken a Pechino, che pure è un evento memorabile, perché era dal 2018 che un segretario di Stato americano non metteva piede in Cina. Dopo le quasi otto ore di colloqui di sabato con il ministro degli Esteri Qin Gang (comprese due per la cena, perché quando i temi sono gravi e urgenti in diplomazia si lasciano raffreddare i piatti sul tavolo e si discute) oggi a Pechino Antony Blinken ha passato tre ore a discutere con Wang Yi, il responsabile della politica estera del Partito comunista, quindi più alto in grado rispetto al capo della diplomazia governativa mandarina.

Secondo la versione cinese, Wang è stato piuttosto duro e ostile, dicendo all’ospite di abbandonare «la teoria della minaccia cinese», che l’America «deve riflettere e scegliere tra dialogo e scontro, cooperazione e conflitto». Su Taiwan, Pechino «non accetterà compromessi, nessuna concessione». Wang ha chiesto di mettere fine «al soffocamento dello sviluppo scientifico e tecnologico della Cina» e ha aggiunto alle rivendicazioni l’osservazione che il peggioramento delle relazioni è dovuto «alla errata percezione degli Stati Uniti secondo cui un Paese forte deve cercare l’egemonia». Questa è la traiettoria seguita storicamente dalle nazioni occidentali, sostengono i cinesi. Poi un invito ai due Paesi a «rovesciare la spirale negativa, assumendo un approccio responsabile verso i popoli, la storia e il mondo».

Wang Yi dunque ha giocato al poliziotto cattivo, lasciando al subordinato Qin Gang la parte del più disponibile. Sono segnali di una situazione tesa: «Le relazioni sono cadute al punto più basso da quando sono state ristabilite» cinquant’anni fa, aveva osservato Qin Gang. La Cina non arretra di un millimetro nella sua pretesa di unificare Taiwan «che è al cuore dei suoi interessi nazionali». Almeno, questa volta i cinesi non hanno evocato l’opzione militare per chiudere la partita. La prima missione in cinque anni di un segretario di Stato americano a Pechino è andata meglio del previsto. Coronata dal colloquio con Xi Jinping.

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Vediamo i primi risultati nelle dichiarazioni pubbliche: 1) I colloqui sono stati definiti «costruttivi» dalle due parti 2) C’è l’impegno a tornare al «consenso di Bali», la promessa che si erano fatta nel novembre 2022 Biden e Xi nel loro unico vertice faccia a faccia di gestire le divergenze, dialogare, comunicare e possibilmente cooperare in «questioni transnazionali» come il cambiamento climatico e i problemi sanitari mondiali. 3) Pechino dice di voler ricomporre una relazione stabile, prevedibile e costruttiva. 4) Impegno a mantenere il dialogo ad alto livello: Qin Gang ha accettato l’invito ad andare a Washington «al momento opportuno».· 5) Cina e Stati Uniti sono d’accordo nel , accogliendo reciprocamente più studenti, insegnanti, imprenditori. Per questo lavoreranno alla ripresa dei voli delle compagnie aeree tra le due sponde del Pacifico, drasticamente tagliati con l’inizio della pandemia e mai ripresi a pieno regime a causa del clima da Guerra fredda.

Guido Santevecchi

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