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Papa Francesco e i “metodi immorali” della Congregazione per la Dottrina della Fede

Il papa ha nominato il nuovo prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede nella persona di mons. Victor Manuel Fernandez, finora arcivescovo di La Plata (Argentina), ed ha voluto accompagnare la pubblicazione della nomina con una sua lettera che è stata resa nota contestualmente all’annuncio dell’incarico. Non è una prassi abituale: questa lettera, indirizzata al neoeletto e per conoscenza a tutti noi, è dunque un documento importante, che merita un’attenzione particolare. Si tratta infatti di un atto ufficiale, che il papa ha specificamente voluto compiere per spiegare il senso che ha inteso dare alla scelta di mons. Fernandez ed esplicitare la missione che affida al nuovo prefetto. Nulla di ciò che contiene può dunque essere considerato alla stregua di un obiter dictum e tantomeno come un’espressione “dal sen fuggita” nel corso di una conversazione, come si potrebbe sostenere, ad esempio, per le tante interviste che il papa ha concesso in questi ultimi tempi.

Per questo motivo ritengo doveroso, per un semplice fedele come me, riflettere sull’affermazione che si trova quasi in apertura della lettera, al secondo capoverso: «El Dicasterio que presidirás en otras épocas llegó a utilizar métodos inmorales». Se traduco bene: «Il Dicastero che presiederai in altre epoche è arrivato ad usare metodi immorali». Mi sembra una frase grave e sconcertante. L’accusa di immoralità, lanciata da un papa ad un organo supremo della Santa Sede, a mia conoscenza non ha precedenti.

Diventa perciò assolutamente necessario anzitutto chiarire a chi e a che cosa si riferisce papa Francesco. Il che cosa è forse, almeno in parte, spiegato nella frase immediatamente successiva: «Fueron tiempos donde más que promover el saber teológico se perseguían posibles errores doctrinales». Cioè, sempre se capisco bene: «Erano tempi in cui, più che promuovere la conoscenza teologica, si perseguivano possibili errori dottrinali». Questa affermazione mi pare molto problematica: non è facile comprendere perché mai il compito di difendere l’ortodossia della dottrina della Chiesa, da sempre affidato alla Congregazione per la Dottrina della Fede, debba dare adito ad accuse di immoralità, e ci si potrebbe anche chiedere se una visione in cui la promozione della conoscenza teologica spetta in prima battuta a un organo del governo centrale della chiesa piuttosto che alla libera ricerca dei teologi non sia, in definitiva, ben più verticistica di quella in cui all’autorità gerarchica è riservata piuttosto una funzione di “sorveglianza” (“episcopale” appunto) nei riguardi di tale lavoro, al fine di mettere in guardia i fedeli contro errori dottrinali, che non sono solo astrattamente “possibili” ma di fatto si sono verificati molte volte nella storia della chiesa. Ma lasciamo stare: da semplice laico non mi considero certo all’altezza di poter affrontare argomenti così delicati e complessi.

Più urgente per me è capire di chi sta parlando il papa quando parla di «metodi immorali». Se ci si lascia distrarre dalla espressione temporale «en otras épocas», così vaga da significare tutto e nulla, si potrebbe pensare che è impossibile rispondere a tale domanda. L’accusa perciò resterebbe grave e sconcertante, ma finirebbe per avere la rilevanza di una “denuncia contro ignoti”. Si può temere, purtroppo, che quel finto complemento di tempo sia stato inserito a bella posta, per dire e non dire. Che sia un’astuzia, in altre parole. Il messaggio sarebbe più o meno questo: “Alla Congregazione per la Dottrina della Fede usavano metodi immorali”. “Ma quando? E chi è stato?”. “Un tempo. E non si sa chi”.

Però la terza frase di quel terribile paragrafo mi sembra che chiarisca a sufficienza il pensiero del papa. Egli scrive infatti al nuovo prefetto: «Lo que espero de vos es sin duda algo muy diferente». Che in italiano si traduce: «Quello che mi aspetto da voi è sicuramente qualcosa di molto diverso». Ora, non è chi non veda che una frase del genere ha senso soltanto in relazione ad un passato recente. Di conseguenza, le “altre epoche” in cui secondo il papa la CDF faceva cose immorali non sono quelle di un remoto passato, di una fase storica della Chiesa ormai finita da un pezzo, e così lontana dal nostro mondo e dalla nostra mentalità per cui i termini delle questioni si ponevano allora in modo del tutto diverso da come si fa oggi, eccetera eccetera … (ammesso e non concesso che anche in questo caso l’accusa di immoralità sia giustificata). No, il papa sta evidentemente parlando della “chiesa di ieri”, non di quella di cinque secoli fa. Per dirla tutta: non della “Sacra Congregazione della romana e universale inquisizione” di Paolo III e nemmeno della “Sacra Congregazione del Sant’Uffizio” di san Pio X, ma della “Congregazione per la Dottrina della Fede” di san Paolo VI, di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ancor più brutalmente: non sta parlando dei tempi del cardinal Carafa (XVI secolo), ma del cardinale Ratzinger. Se le cose stanno così, a rendere ancor più “problematica” per un cattolico l’accusa di immoralità rivolta alla CDF sta il fatto che essa ha sempre agito in obbedienza e comunque con l’assenso dei pontefici regnanti: san Paolo VI, san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Di conseguenza diventerebbe impossibile sottrarre quei santi pontefici al rimprovero di essere stati come minimo conniventi con i «metodi immorali» della CDF. Solo io resto senza parole di fronte a una prospettiva del genere?

Tutto ciò è per me, come semplice fedele cattolico, fonte di un enorme imbarazzo, per non dire di scandalo, ma francamente non mi pare che l’affermazione del papa possa essere intesa in altro modo. La comunicazione ha le sue regole e neanche un papa può ignorarle. Provo a spiegarmi ancora meglio con un esempio. Poniamo che il rettore di una scuola, presentando ai docenti e agli alunni un nuovo insegnante che ha appena nominato, dica: «Un tempo in questa scuola si usavano metodi violenti. Da lei mi aspetto sicuramente qualcosa di molto diverso». Chi mai potrebbe pensare che quel rettore si riferisca, che ne so, ai tempi degli antichi Romani e al plagosus Orbilius di oraziana memoria? Tutti capirebbero che intende alludere al predecessore o ai predecessori immediati del nuovo docente. Altrimenti la sua frase sarebbe priva di senso, quanto lo sarebbe oggi dichiarare di aspettarsi che il nuovo prefetto del dicastero vaticano non scriva con la penna d’oca, non faccia il viaggio dall’Argentina a Roma su un veliero e non si rechi al lavoro in carrozza.

Leonardo Lugaresi

Leonardo Lugaresi, studioso di storia del cristianesimo antico e di letteratura patristica, ha conseguito il Dottorato in scienze religiose all’Università di Bologna e all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Ha tenuto corsi di Letteratura cristiana antica all’Università di Bologna e di Storia del Cristianesimo all’Università di Chieti. È autore di numerose pubblicazioni, tra cui l’edizione commentata delle Orazioni IV e V di Gregorio Nazianzeno contro l’imperatore Giuliano (Firenze 1993 e 1997) e un’ampia monografia sul problema del giudizio cristiano sugli spettacoli: Il teatro di Dio. Il problema degli spettacoli nel cristianesimo antico (II-IV secolo) (Brescia 2008).

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Pubblicato inCattolicesimo

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