Dalla fine di febbraio 2014 diverse dimostrazioni da parte dei manifestanti filorussi e dei gruppi antigovernativi hanno avuto luogo nelle maggiori città dell’Ucraina orientale e meridionale, come conseguenza dell’affermarsi del movimento Euromaidan e della rivoluzione ucraina. Durante la prima fase dei disordini, la Crimea fu annessa alla Russia dopo una crisi nella regione, l’intervento militare russo e un referendum contestato in ambito internazionale. Le proteste negli oblast’ di Donec’k e Luhans’k sfociarono in un’insurrezione separatista armata. Ciò indusse il governo ucraino a lanciare una controffensiva militare contro gli insorti che portò alla guerra in corso nel Donbass. Questa è la storia che l’Occidente si racconta. Ma andò proprio così? La documentata versione del giornalista Francesco Ciotti – dati, testimonianze, immagini e video alla mano – è invece assai diversa. Il 22 febbraio 2021 così scriveva su Antimafia Duemila, il sito internet dell’Associazione Culturale Falcone e Borsellino.
Correva l’anno 2014. In febbraio una manifestazione anti-governativa con giuste rivendicazioni contro la dilagante corruzione e il peggioramento delle condizioni di vita, venne rapidamente trasformata in un vero e proprio campo di battaglia per rovesciare il presidente eletto Yanukovich. Ha avuto inizio da qui la narrazione ufficiale del racconto di un popolo che democraticamente ha rovesciato un dittatore sanguinario, ma nel suo sviluppo, andando a vedere la reale dinamica dei fatti, si nasconde una storia più oscura.
Procediamo con ordine. L’ex presidente, già dal 2010, anno del suo insediamento, si era rifiutato di far aderire l’Ucraina alla Nato che da anni aveva iniziato ad espandersi verso est, fino ai confini della Russia, inglobando: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia, Croazia e Albania. L’assistente del segretario di Stato Victoria Nuland aveva dichiarato al National Press Club di Washington, nel dicembre 2013, che gli Stati Uniti avevano investito 5 miliardi di dollari “al fine di dare all’Ucraina il futuro che merita”.
A febbraio, mentre si susseguivano le proteste, si verificò una delle più sanguinose insurrezioni in Europa orientale del dopoguerra dopo quella ungherese del 1956, come confermato dalle registrazioni telefoniche tra l’alto commissario per gli affari esteri della UE Chaterine Ashton e il ministro degli esteri estone Urmas Paet, un gruppo di cecchini sparò sia sui manifestanti che sugli stessi poliziotti. Nel colloquio delle due controparti si ipotizzava che questi mercenari appartenessero non tanto a Yanukovych, ma a “qualcuno della nuova coalizione”. Elemento confermato dall’ex capo della Security Service of Ukraine Alexander Yakimenko e dagli stessi cecchini georgiani Koba Nergadze e Alexander Revazishvili che, intervistati da due televisioni europee e anche dalla agenzia di stampa moscovita Interfax, rivelarono di essere stati reclutati da un membro del governo Usa con lo scopo di provocare vittime da ambo le parti e gettare Kiev nel caos.
Il 22 febbraio 2014, attraverso un voto incostituzionale, il parlamento Ucraino votò per considerare vacante la poltrona del presidente eletto, che venne sostituito frettolosamente da Oleksandr Turčynov. A seguito del colpo di stato, il partito di estrema destra Svoboda, il cui leader Oleh Tyahnybok affermò limpidamente di voler “estirpare dall’Ucraina tutta la feccia russa, tedesca e giudea”, entrò nell’esecutivo ottenendo vari ministeri: da quello della Difesa a quello dell’Agricoltura passando poi per la posizione di vice primo ministro, assegnata a Oleksandr Sych e quella di Procuratore Generale.
Venne imposto immediatamente l’eliminazione del russo come lingua ufficiale e al contempo, all’imposizione del divieto di essere “comunisti”, si dava adito alla creazione di un arsenale nucleare ucraino e all’adesione alla Nato esclusivamente in funzione anti-russa. Dall’insediamento del nuovo governo iniziò dunque una campagna di violenza contro la popolazione Russa nel Paese e si avviò una sanguinosa guerra nella regione del Donbass.
Tutto questo permette di comprendere come nel 2014 ebbe luogo un vero e proprio colpo di Stato con lo scopo di colpire la Russia, provocarla ed isolarla a livello internazionale. Di fronte al Putsch di Kiev ed all’offensiva contro i russi di Ucraina, il Consiglio supremo della Repubblica autonoma di Crimea votò la secessione da Kiev e la richiesta di riannessione alla Federazione Russa.
Il 18 marzo 2014 il presidente Putin firmò il trattato di adesione della Crimea alla Federazione Russa con lo status di repubblica autonoma. A questo punto la Russia venne accusata dalla NATO e dalla UE di aver annesso illegalmente la Crimea e sottoposta a dure sanzioni economiche. Una crisi da allora permanente che ciclicamente viene proposta. E a leggere le ultime notizie con il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, che torna a parlare di minaccia russa e cinese ecco che gli allarmi per rinnovati venti di guerra si fanno ancora più forti.
Introdotte da Giulietto Chiesa, le immagini di questo documentario non sono mai state viste in Italia e in Europa. Sono immagini raccolte spesso con mezzi di fortuna: telefonini o videocamere amatoriali, ma smentiscono con forza le versioni che i mass media, anche italiani continuano a dare dopo i bombardamenti nell’Est Ucraina: “Chi è stato? Gli ucraini? I separatisti? Non si sa.” Per riportare all’ordine le due province russe, l’Ucraina ha messo in campo un guerra inspiegabilmente e inutilmente brutale. Queste immagini lo testimoniano senza possibilità di smentita.