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Ah, l’Italia! Quel paese dove le contraddizioni sembrano danzare tra le righe della legge e della moralità. Un paese dove l’argomento dell’eutanasia è diventato un labirinto di dubbi etici e legali, un gioco perverso tra ciò che è permesso e ciò che è moralmente accettabile. Domandarsi se l’eutanasia sia legale in Italia è come chiedersi se un pittore cieco possa dipingere i colori dell’arcobaleno. Ironico, non trovate?
Ecco la verità cruda e nuda: secondo il nostro glorioso Codice Penale, in particolare gli articoli 597 e 580, assistere qualcuno nel suicidio o aiutare un individuo a morire, anche se consenziente, è un reato. Sì, cari lettori, un reato! Eppure, guardate un po’, l’assurdo si fa strada nelle nostre vite quotidiane.
Prendiamo il caso di “Anna”, nome di fantasia per una realtà ben più amara. A Trieste, questa donna ha terminato i suoi giorni grazie all’assistenza di un medico e al sostegno del nostro Sistema Sanitario Nazionale. E non è l’unico caso! Siamo già alla quinta persona che si congeda da questo mondo con il benestare dello Stato, sotto lo stesso cielo dove il Codice Penale grida il suo divieto. Quale assurdo teatro è diventata la nostra società!
E poi c’è il caso di Piombino, un altro capitolo di questa saga di follia. Qui, un uomo con una malattia invalidante ha ottenuto il “permesso” di morire. La ASL Toscana Nord Ovest, in un audace colpo di scena degno di un romanzo distopico, ha creato un regolamento che supera il Codice Penale stesso. E cosa dire della famiglia di questo uomo, costretta a procurarsi i farmaci letali, trasformando una tragedia personale in una sorta di eutanasia fai-da-te?
Questi eventi sono il sintomo di un male più profondo, un cancro che erode le fondamenta della nostra società. Siamo di fronte a un pericoloso scivolamento verso un abisso in cui la legge sembra più una raccomandazione che un imperativo. La sentenza della Corte Costituzionale (242/2019) è stata interpretata come un lasciapassare per trasgredire il Codice Penale, in un paese che, pur non basandosi sul common law, sembra avere una morbosa attrazione per le peggiori abitudini anglo-americane.
E poi, guardiamo al Canada, un esempio sinistro di dove potremmo finire. In quel paese, la morte assistita non è più un’eccezione per malattie incurabili, ma una soluzione per chi è semplicemente troppo povero o depresso per continuare a vivere. Quanto tempo passerà prima che anche in Italia si arrivi a tanto? Quanto tempo prima che i nostri politici e giudici, persi in un marasma di leggi ambigue e pressioni mediatiche, decidano che la vita umana può essere terminata con un semplice clic, come si fa con un ordine online?
E allora cosa ci resta da dire di un sistema che si contorce in queste contraddizioni? Un sistema dove le leggi sembrano non valere più di un consiglio non richiesto? Siamo testimoni di una sorta di anarchia legalizzata, dove il Codice Penale è relegato a mero spettatore di un dramma che si consuma nelle nostre case, nelle nostre vite.
Non possiamo ignorare il fatto che dietro ogni decisione di concedere l’eutanasia si nasconde una sentenza di un giudice, una figura che dovrebbe rappresentare la giustizia e l’ordine. Invece, cosa vediamo? Giudici che piegano la dignità della loro toga alle pressioni mediatiche e politiche, trasformandosi in burattinai di un teatro dell’assurdo. Si aprono crepe nell’edificio della legalità, crepe attraverso cui si insinuano ambizioni politiche e interessi economici, mascherati da falsa compassione e progressismo.
È in questo scenario che politici come Debora Serracchiani del PD emergono, con proposte di legge che sembrano più guidate dalle “coscienze delle persone” e dalle sentenze costituzionali, piuttosto che da un reale rispetto per la vita e la legge. È un gioco pericoloso, un gioco dove la vita umana diventa merce di scambio, un articolo in vendita durante il prossimo Black Friday.
Ma andiamo oltre. Riflettiamo sul messaggio che queste pratiche inviano alla società. Sta diventando sempre più normale considerare la vita umana come una variabile da gestire a piacimento, un disturbo da eliminare con la stessa facilità con cui si cancella un file indesiderato dal computer. Dove ci porterà questa mentalità? Verso una società fredda e calcolatrice, dove il valore della vita umana è misurato in termini di utilità e comodità?
E poi, quale futuro aspetta i nostri anziani, i malati cronici, i depressi? Saranno costretti a chiedersi se la loro esistenza è ancora “utile” o se è meglio “alleggerire” il peso sulla società? In una nazione dove il Codice Penale sembra essere diventato una semplice linea guida, piuttosto che una legge ferrea, questi scenari non sono più frutto di un’immaginazione distopica, ma potrebbero diventare la nostra realtà quotidiana.
Ci troviamo di fronte a un bivio morale e legale. Da una parte, il rispetto per la vita umana e la legalità, dall’altra, una deriva etica che minaccia di trasformare il nostro paese in un luogo dove la morte diventa una soluzione facile, un capriccio soddisfatto da un sistema che ha perso il contatto con i suoi principi fondamentali. Dobbiamo chiederci quale direzione vogliamo prendere, quale eredità vogliamo lasciare alle future generazioni. La risposta a queste domande definirà non solo il nostro approccio all’eutanasia, ma la stessa anima del nostro paese.
Ma non fermiamoci qui. Esploriamo l’effetto domino di questa situazione. Ogni caso di eutanasia assistita che si consuma sotto il sigillo dell’approvazione statale diventa un precedente pericoloso. Un precedente che erode non solo la fiducia nella legge, ma anche nella sacralità della vita umana. Diventa un segnale inquietante che la vita può essere negoziata, che la morte può essere una scelta conveniente, un escamotage per evitare la sofferenza non solo fisica, ma anche economica e sociale.
E qui sorge una domanda cruciale: chi stabilisce i criteri? Chi decide quando la vita è degna di essere vissuta e quando no? Siamo entrati in un’era in cui il “diritto di morire” sembra oscurare il “diritto di vivere”. Una narrazione pericolosa si sta insinuando nel tessuto della nostra società, una narrazione che potrebbe avere conseguenze irreversibili.
Non possiamo ignorare che dietro questa facciata di “compassione” e “libera scelta” si nasconde una realtà più cupa. È una realtà in cui il valore della vita umana viene calcolato in termini di costi e benefici, dove la vulnerabilità e la sofferenza diventano elementi da gestire piuttosto che da affrontare con umanità e cura. In questa logica distorta, l’eutanasia non è più un’eccezione per circostanze straordinarie, ma diventa una soluzione praticabile, un’opzione da considerare in situazioni sempre più ampie.
E mentre ci avventuriamo su questo terreno scivoloso, le voci dei più deboli rischiano di essere soffocate. I malati cronici, gli anziani, le persone con disabilità – tutti potrebbero presto trovarsi in un mondo dove la loro vita è valutata in base a criteri arbitrari, imposti da una società che ha smarrito il suo compasso morale. Questo non è progresso, è regressione; non è civiltà, è barbarie travestita da razionalità.
Inoltre, riflettiamo sulle implicazioni a lungo termine di questa tendenza. Oggi, l’eutanasia assistita può sembrare una scelta compassionevole per pochi casi disperati. Ma domani? Cosa succede quando la soglia del “diritto di morire” si abbassa sempre di più? Quando l’eccezione diventa la norma, e la norma diventa una prassi diffusa? Cosa succede quando il valore intrinseco della vita umana viene messo in discussione, non solo in situazioni estreme, ma nella vita di tutti i giorni?
Queste non sono domande ipotetiche, sono interrogativi reali che dovremmo porci ora, prima che sia troppo tardi. Prima che la strada che abbiamo intrapreso ci porti in un luogo da cui non possiamo più tornare indietro. Un luogo dove la vita e la morte sono meramente questioni di convenienza, dove l’umanità perde la sua essenza più profonda.
In conclusione l’argomento dell’eutanasia in Italia non è solo una questione legale o etica. È una questione che tocca l’anima della nostra società, i suoi valori fondamentali, la sua identità. È una questione che ci costringe a guardare in faccia la realtà di ciò che stiamo diventando, e di ciò che potremmo diventare se non fermiamo questa deriva. Dobbiamo chiederci se questo è davvero il tipo di società che vogliamo, una società in cui la facilità della morte sovrasta il valore della vita. La risposta a questa domanda definirà non solo il nostro futuro come nazione, ma anche il nostro destino come esseri umani.