Dopo l’ultima, vergognosa, sconfitta agli Europei, c’è da chiedersi se ci sia un limite al ridicolo che possiamo sopportare come nazione amante del calcio. Sì, perché pare proprio che scavare il fondo sia diventato il nostro sport nazionale preferito. E, come al solito, nessuno pagherà per questa figuraccia storica. Ma andiamo con ordine, perché la trama di questa tragicommedia merita un’analisi approfondita.
L’immutabile Luciano Spalletti
Partiamo dal CT, Luciano Spalletti. Il nostro allenatore nazionale, maestro dell’arte di rimanere a galla nonostante i fallimenti, ha dimostrato una volta di più che l’incapacità gestionale è un’arte sottovalutata. Nonostante una gestione della rosa che definire scriteriata è un eufemismo, Spalletti resta saldo al timone della nostra nazionale. Forse pensa che il suo posto (a 3 milioni di euro netti l’anno) sia un diritto divino, o forse semplicemente ha capito che in Italia la mediocrità è premiata con la perseveranza. Dopotutto, chi avrebbe mai il coraggio di dire “mi dimetto” dopo una debacle simile? Non certo Spalletti, che, come un incrollabile monumento all’insuccesso, continua imperterrito sulla sua strada, nonostante tutto.
Il grande bluff di Gravina
E poi c’è Gabriele Gravina, il presidente federale, sempre in prima fila quando si tratta di festeggiare i successi altrui, mai quando è il momento di prendersi le responsabilità. In un paese normale, dopo una figuraccia del genere, sarebbe bastata una parola: “Dimissioni”. E invece no. Gravina, in una conferenza stampa a dir poco imbarazzante, ha girato attorno alla questione con una maestria linguistica degna di un accademico, senza mai pronunciare il fatidico termine, preferendo sinonimi che giravano attorno al concetto senza mai afferrarlo veramente. Perché dimettersi, quando il “senso di responsabilità” gli impone di rimanere al suo posto? Quasi dovremmo ringraziarlo per il sacrificio. Un insulto all’intelligenza degli appassionati di calcio italiani.
E attenzione, perché Gravina non si ferma qui. Con la sua solita abilità nel lanciare pizzini e nell’evocare complotti, ha insinuato che ci siano manovre oscure dietro le richieste di dimissioni. Chi sarà il perfido burattinaio? Lotito, naturalmente, la sua ossessione personale, insieme ad altri oscuri ambienti politici. Ma, per non farsi mancare nulla, Gravina si è affrettato a sottolineare che i suoi rapporti col governo sono ottimi, nonostante le evidenze suggeriscano il contrario. Un capolavoro di ambiguità che neanche Machiavelli avrebbe saputo concepire meglio.
Il nulla della governance federale
Ma cosa ha fatto davvero Gravina per il calcio italiano dal 2018 a oggi? Ha ottenuto un posto da vicepresidente UEFA, ha consolidato una rete di relazioni personali e politiche, e si è assicurato uno stipendio di tutto rispetto, aumentandoselo poco meno di un anno fa da 36 mila a 240 mila euro “per ottenere i trionfi che stiamo assitento”. Tutto questo mentre il nostro calcio sprofondava nell’irrilevanza. Della riforma dei campionati, neanche l’ombra. Di innovazioni concrete, nemmeno a parlarne. E anche la gestione della nazionale è stata un disastro, con la scelta di Spalletti che ha solo aggiunto sale sulle ferite aperte dalla fuga di Mancini in Arabia.
Ma Gravina, con l’abilità di un prestigiatore, è riuscito a spostare l’attenzione su altri bersagli: le Leghe, i patron della Serie A, il sistema che “toglie spazio ai giovani”. Eppure, se anche fosse vero che il presidente federale non ha reali poteri per incidere sulle questioni tecniche, rimane il fatto che un capo che sopravvive a due fallimenti epocali è una rarità degna di un record da Guinness.
Una barca alla deriva
In sintesi, l’Italia calcistica continua a essere una barca alla deriva, con un capitano che si rifiuta di abbandonare la nave, nonostante sia evidente che stia affondando. E noi, appassionati e tifosi, siamo costretti a subire l’ennesima farsa, nella speranza che prima o poi qualcuno abbia il coraggio di dire basta e di prendere decisioni drastiche. Ma fino ad allora, prepariamoci a nuovi capitoli di questa tragicommedia, perché nel teatrino del calcio italiano, lo spettacolo non finisce mai.
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