Ah, le spiagge italiane! L’orgoglio nazionale, le distese dorate che da decenni rappresentano il nostro “bene comune” per eccellenza. Peccato che, a ben vedere, questo bene comune sia diventato un affare privato per pochi furbetti del lido. Ma ora il Consiglio di Stato ha deciso di farla finita con le deroghe infinite, quelle che hanno trasformato i nostri litorali in una sorta di riserva privata, in cui solo alcuni hanno il diritto di piantare ombrelloni e farci pagare un occhio della testa per stenderci al sole. Fine della pacchia?
Non proprio. Come spesso accade in Italia, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E non solo in senso figurato. Ma andiamo con ordine.
Concessioni balneari: la grande truffa all’italiana
Partiamo dall’inizio. Le concessioni balneari in Italia sono un po’ come il pandoro a Natale: sembrano sempre le stesse, eppure ogni anno ce le ritroviamo in tavola senza sapere esattamente come ci siano arrivate. Sì, perché da decenni queste concessioni vengono rinnovate automaticamente, spesso senza gara, come se fossero un diritto acquisito da chi le ha ottenute in passato. Una tradizione, insomma, come il presepe e il panettone.
E qui casca l’asino. Il Consiglio di Stato, in un impeto di legalità e buon senso, ha detto “basta!”: fine delle deroghe, fine del monopolio dei soliti noti. Dal 1° gennaio 2024, chi vorrà gestire un pezzo di spiaggia dovrà partecipare a una gara d’appalto. E, udite udite, dovrà pure vincerla! Roba da matti, penserete. In un paese in cui anche i favori tra amici si tramandano di generazione in generazione, come le vecchie radio a valvole, il Consiglio di Stato si è messo in testa di fare pulizia. Che follia!
La scadenza che nessuno voleva vedere
La scadenza, quella fatidica data del 31 dicembre 2023, era scritta nei calendari di ogni concessionario balneare da anni. Eppure, come la famosa cometa di Halley, nessuno ci credeva davvero che sarebbe arrivata. Fino a quando non è piombata sulla testa di chi, al mare, ci ha costruito un impero. È successo il miracolo? Si è svegliato il paese? Nemmeno per sogno.
Finora, si è andati avanti “all’italiana”. Ovvero, si è aspettato, si è fatto finta di niente, si è sperato in un intervento dell’ultimo minuto, in una nuova proroga, in un bel condono. Ma stavolta il condono non è arrivato. Almeno per ora. Quindi, bene o male, i nostri concessionari sono arrivati a fine stagione senza grandi scossoni. Le spiagge sono rimaste nelle stesse mani di sempre, i prezzi degli ombrelloni non sono calati (anzi!), e i turisti hanno continuato a pagare caro e salato per un pezzo di sabbia.
Ma ora che la stagione è finita, e che l’inverno si avvicina, la domanda sorge spontanea: che cosa ci aspetta il prossimo anno?
Gare d’appalto: la nuova giungla italiana
Ah, le gare d’appalto! In teoria dovrebbero essere sinonimo di trasparenza, di concorrenza leale, di opportunità per tutti. In pratica, in Italia, sono spesso sinonimo di caos, ricorsi, liti legali e, inutile dirlo, tentativi di truffa. Perché, diciamocelo chiaro e tondo: quando mai in questo paese una gara d’appalto è filata liscia come l’olio?
Nel caso delle concessioni balneari, poi, la situazione rischia di diventare esplosiva. Da una parte ci sono i vecchi concessionari, che non ci pensano nemmeno a mollare l’osso senza combattere fino all’ultimo. Dall’altra ci sono i nuovi aspiranti concessionari, che fiutano l’affare e non vedono l’ora di mettere le mani su una fetta di paradiso (o di sabbia, dipende dai punti di vista). In mezzo, il caos più totale: bandi che potrebbero essere scritti in modo ambiguo, ricorsi al TAR che si accumuleranno come neve fresca sulle Alpi, e sentenze che rischiano di bloccare tutto per anni. Altro che trasparenza e concorrenza leale!
E intanto, mentre i tribunali si preparano a essere sommersi da un’ondata di ricorsi, le spiagge rischiano di rimanere in uno stato di limbo, senza sapere chi le gestirà e a quali condizioni. Perché, parliamoci chiaro, chi sarà così pazzo da investire soldi in un lido sapendo che, l’anno successivo, potrebbe perdere tutto a causa di un ricorso? Ecco allora il rischio concreto che la prossima estate ci ritroveremo con spiagge abbandonate, lidi deserti e ombrelloni arrugginiti. Un bel biglietto da visita per i turisti, non c’è che dire.
Il lamento dei concessionari: vittime o carnefici?
I concessionari balneari, da parte loro, non ci stanno. Si sentono vittime di un sistema che li ha illusi per anni, che ha permesso loro di costruire imperi su concessioni che venivano rinnovate di default, senza gara. E ora, di colpo, quel sistema ha deciso di cambiare le regole del gioco. “Non è giusto!”, gridano. E come dar loro torto? Per anni hanno investito denaro, risorse, tempo, sicuri che la loro concessione sarebbe stata rinnovata. E ora si trovano di fronte a una prospettiva di perdere tutto.
Ma, come si suol dire, chi è causa del suo mal pianga sé stesso. Perché se il sistema ha permesso tutto questo, è anche vero che chi ne ha approfittato non è proprio senza colpa. Per anni hanno goduto di un privilegio ingiustificato, mentre altri imprenditori rimanevano fuori dai giochi. E ora che il sistema prova a mettersi in regola, loro protestano. Ma che cosa si aspettavano? Che tutto restasse così per sempre? In un paese normale, questo privilegio sarebbe già finito da un pezzo. Ma siamo in Italia, dove tutto è possibile, tranne cambiare davvero le cose.
Il paradosso delle spiagge italiane
E così, mentre il Consiglio di Stato prova a mettere ordine in questo caos, noi cittadini comuni assistiamo al solito spettacolo di paradossi all’italiana. Da una parte, abbiamo spiagge che, in teoria, dovrebbero essere di tutti, ma che in pratica sono diventate feudi privati, gestiti da pochi eletti. Dall’altra, abbiamo un sistema che, quando finalmente decide di fare pulizia, rischia di fare più danni che altro. E in mezzo, ci siamo noi, che ogni estate paghiamo il prezzo di tutto questo.
Già, perché mentre si discute di concessioni, gare d’appalto, ricorsi e tribunali, chi pensa ai poveri cittadini? Chi pensa al turista che vuole semplicemente andare al mare senza dover vendere un rene per affittare un ombrellone? Chi pensa a chi, magari, vorrebbe anche solo stendersi sulla sabbia senza pagare una fortuna? Nessuno, a quanto pare. Perché, come al solito, il dibattito è tutto concentrato su chi deve gestire le spiagge, e non su come devono essere gestite.
E il futuro?
E quindi, cosa ci aspetta il prossimo anno? Difficile dirlo con certezza. Ma una cosa è chiara: se il 2024 sarà l’anno delle gare d’appalto, sarà anche l’anno del caos. Preparatevi a vedere spiagge deserte, lidi chiusi, tribunali intasati e ricorsi che si accumulano come granelli di sabbia al vento. E chissà, magari sarà anche l’anno in cui, per la prima volta, qualcuno inizierà a parlare seriamente di come riformare davvero il sistema delle concessioni balneari.
Magari sarà l’occasione per ripensare a un modello di gestione che metta al centro i cittadini, e non solo i concessionari. Magari sarà l’inizio di un’era in cui le spiagge tornano ad essere davvero un bene comune, accessibile a tutti, e non solo a chi può permettersi di pagare cifre esorbitanti. Magari sarà anche il momento in cui ci renderemo conto che, dopotutto, il mare è di tutti, e non solo di chi ha la fortuna (o la furbizia) di avere una concessione.
Ma, per ora, tutto questo è solo un sogno. E in Italia, si sa, i sogni durano poco. Specialmente quelli che riguardano la legalità e la trasparenza. Quindi, cari italiani, preparatevi al peggio. Perché, come al solito, l’unica certezza è che a pagare saremo sempre noi, poveri cittadini, mentre i furbetti del lido continueranno a farsi i loro affari, deridendo chi prova a cambiare le cose.
E alla fine, come sempre, ci ritroveremo tutti sotto lo stesso sole, ma con l’amaro in bocca. Perché, mentre il mare continua a bagnare le nostre coste, il sistema delle concessioni balneari rimane un terreno insidioso, dove i diritti dei cittadini vengono spesso sommersi dalle onde dell’interesse privato. Buona fortuna, e buona estate 2025 a tutti!