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La guerra dell’acqua, conflitto silenzioso che divora l’Africa

L’acqua. L’elemento primordiale, fonte di vita, che scorre placida tra terre e popoli, eppure, paradossalmente, fonte di conflitto, di guerre, di distruzione. Siamo abituati a pensare alle guerre per il petrolio, al controllo dei giacimenti, alle dispute su confini e risorse minerarie, ma nel XXI secolo, a sorpresa, sarà l’acqua a diventare il più grande motivo di conflitto. E non stiamo parlando di previsioni lontane nel tempo. Le guerre per l’acqua sono già realtà, con il loro epicentro drammatico e spesso taciuto in Africa, il continente che più di ogni altro paga il prezzo di secoli di sfruttamento e disuguaglianza.

L’acqua: una risorsa in crisi

Già nel 1995, la Banca Mondiale aveva lanciato l’allarme: “Se le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI secolo avranno come oggetto l’acqua”. Molti allora sorrisero, giudicando quelle parole come allarmismo inutile. Eppure, basta dare uno sguardo ai dati e alla cronaca degli ultimi vent’anni per capire che non solo l’allarme era fondato, ma che oggi ci troviamo immersi fino al collo in un’emergenza che, se non affrontata con urgenza, ci trascinerà tutti nel baratro.

Nel solo decennio tra il 2000 e il 2009 si sono registrati 94 conflitti legati all’acqua nel mondo. Ma tra il 2010 e il 2018 questo numero è quasi triplicato, raggiungendo i 263 conflitti. La risorsa più essenziale per la vita è diventata una delle più scarse e, di conseguenza, una delle più ambite. Le sempre più frequenti stagioni di siccità prolungata e i fenomeni meteorologici estremi, ha solo aggravato la situazione. A pagare il prezzo più alto, come sempre, sono le regioni più vulnerabili del pianeta, e l’Africa è in cima a questa lista.

Il Nilo: il simbolo della battaglia per l’acqua

Se c’è un fiume che incarna alla perfezione l’emblema della battaglia per l’acqua, questo è il Nilo. La sua maestosa lunghezza di 6.650 chilometri attraversa undici Paesi africani e fornisce acqua a circa 280 milioni di persone. Ma è anche fonte di un conflitto antico, che oggi si è intensificato a livelli pericolosi. Il nodo centrale della disputa è la Grande Diga del Rinascimento Etiopico (GERD), un progetto faraonico voluto dall’Etiopia per incanalare e sfruttare le acque del Nilo Azzurro.

Da quando l’Etiopia ha iniziato la costruzione della diga nel 2011, il Cairo ha percepito questo progetto come una minaccia esistenziale. L’Egitto dipende dal Nilo per il 90% delle sue risorse idriche e teme che la diga riduca drasticamente il flusso d’acqua verso le sue terre. In gioco c’è la sopravvivenza di un Paese che già affronta gravi problemi di scarsità idrica, acuiti da una crescita demografica esplosiva e da un’economia che stenta a sostenere la sua popolazione.

La diplomazia tra Egitto, Etiopia e Sudan ha finora fallito nel trovare una soluzione condivisa. Le tensioni sono così alte che non si può escludere un intervento militare. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha più volte dichiarato che “l’acqua del Nilo è una linea rossa”, lasciando intendere che, se necessario, l’Egitto è pronto a difendere i suoi diritti sull’acqua con le armi. È questa la pace che ci attende? Una pace imposta dai carri armati e dalle bombe? E per cosa, per l’acqua?

L’acqua e la geopolitica: il Corno d’Africa in fiamme

Ma il Nilo non è l’unico teatro della guerra per l’acqua in Africa. Il Corno d’Africa, già devastato da guerre civili e carestie, è un’altra regione dove la carenza di risorse idriche minaccia di scatenare un conflitto di proporzioni catastrofiche. La regione, che include paesi come Somalia, Etiopia, Eritrea e Sudan, è una delle aree più colpite dalla crisi climatica, con lunghi periodi di siccità alternati a violente alluvioni.

Milioni di persone sono costrette a migrare in cerca di acqua e pascoli per il bestiame, alimentando una spirale di violenza tra comunità che competono per risorse sempre più scarse. Il Sudan, in particolare, è un esempio tragico di come la guerra e la scarsità idrica possano intrecciarsi in un groviglio di disperazione e morte. La regione del Darfur, dove la desertificazione avanza inesorabile, è da anni teatro di conflitti armati che vedono scontrarsi tribù locali e milizie governative. E dietro ogni pallottola, ogni villaggio distrutto, c’è sempre lo stesso motivo: l’acqua.

E mentre i governi del mondo continuano a parlare di pace e cooperazione, sul campo si combatte una guerra silenziosa, che non fa notizia sui giornali occidentali, ma che uccide ogni giorno migliaia di persone. Le grandi potenze si riempiono la bocca di parole vuote, mentre l’Africa brucia, letteralmente, per mancanza di acqua. È questo il futuro che vogliamo?

Il ruolo dell’Occidente: spettatori o protagonisti?

In questo scenario di crisi globale, viene naturale chiedersi quale sia il ruolo dell’Occidente. Abbiamo forse dimenticato che sono proprio le potenze coloniali del passato a essere in gran parte responsabili della situazione attuale? I confini tracciati con il righello su mappe coloniali, senza tener conto delle popolazioni e delle loro necessità, hanno creato stati artificiali che oggi lottano per accaparrarsi risorse che dovrebbero appartenere a tutti.

L’Occidente non può più permettersi di guardare dall’alto in basso, come spettatore passivo. Deve assumersi le sue responsabilità e intervenire, non con le armi, ma con politiche concrete di cooperazione e sviluppo. Non basta inviare aiuti umanitari quando ormai la situazione è fuori controllo. Bisogna agire prima, prevenire i conflitti, investire nelle infrastrutture idriche, aiutare le popolazioni locali a gestire in modo sostenibile le risorse naturali.

E invece cosa vediamo? Le grandi multinazionali dell’acqua, spesso legate a doppio filo ai governi occidentali, che entrano in questi Paesi con l’obiettivo di privatizzare anche l’ultimo sorso d’acqua. Così, dopo aver sfruttato il petrolio, il gas e le terre agricole, ora vogliono mettere le mani sull’acqua. È una nuova forma di colonialismo, più subdola, ma non meno devastante.

Le conseguenze globali della crisi idrica

La guerra per l’acqua in Africa non è solo un problema locale. Le sue conseguenze si rifletteranno inevitabilmente su tutto il pianeta. L’ONU ha già avvertito che entro il 2025 due terzi della popolazione mondiale vivrà in condizioni di scarsità idrica. Questo significa che centinaia di milioni di persone saranno costrette a migrare in cerca di un futuro migliore. Le crisi umanitarie si moltiplicheranno, così come le tensioni tra Paesi e continenti.

Già oggi vediamo come i flussi migratori dall’Africa verso l’Europa siano alimentati non solo dalla povertà e dai conflitti armati, ma anche dalla mancanza di risorse idriche. Se non interveniamo subito, queste migrazioni diventeranno inarrestabili. E allora cosa faremo? Alzeremo muri? Costruiremo barriere? Oppure inizieremo finalmente a trattare l’acqua come ciò che è: un diritto umano fondamentale, e non una merce da vendere al miglior offerente?

L’acqua è vita, non guerra

Non possiamo più permetterci di ignorare il problema. La crisi dell’acqua è reale, è qui, e sta peggiorando. Le guerre per l’acqua non sono un’ipotesi remota, sono già in corso. E se non vogliamo che il XXI secolo sia ricordato come il secolo delle guerre per l’acqua, dobbiamo agire subito.

L’acqua è vita. Non possiamo permettere che diventi una fonte di morte. L’Africa ci chiede aiuto, e non possiamo girarci dall’altra parte. Serve una presa di coscienza globale, una mobilitazione collettiva per difendere il diritto all’acqua per tutti, ovunque. Solo così potremo evitare che il fiume della vita diventi un fiume di sangue.

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