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Silenzio, si abortisce! Pregare fuori dalle cliniche è reato

Benvenuti nella nuova era della libertà: quella in cui pregare in silenzio, con una Bibbia in mano o semplicemente con un pensiero rivolto a un nascituro, può trasformarti in un delinquente. Dove? In quella che un tempo si vantava di essere la patria dei diritti civili: il Regno Unito. Con l’introduzione delle famigerate buffer zones – le “zone cuscinetto” – intorno alle cliniche abortive, anche il più innocuo segno di riflessione o di fede è ora criminalizzato. Pregare? Un atto di molestia. Mostrare una foto di un feto? Propaganda pericolosa. E così, in nome della sacra intoccabilità dell’aborto, si decreta la morte non solo di vite nascenti, ma anche della libertà di espressione.

Un Regno Unito sempre meno unito e sempre meno libero

Le nuove linee guida del Crown Prosecution Service (CPS) non lasciano margine di dubbio: qualsiasi azione – anche mentale, pare – che possa “influenzare” una donna in procinto di abortire è ora un reato. Non importa se si tratti di una parola gentile, di una preghiera sussurrata o di un’immagine che celebra la vita: ogni gesto è sospetto, ogni intenzione un potenziale crimine. Oggi, nel Regno Unito, si diventa molestatori semplicemente pregando. Persino se nessuno ti sente. Avete capito bene: pregare in silenzio è reato.

E attenzione, perché non stiamo parlando solo di azioni visibili o di cartelloni esposti con fervore. No, qui siamo al livello del pensiero. È la Minority Report del progressismo: non hai ancora fatto nulla, ma se la tua presenza potrebbe in qualche modo turbare l’operazione programmata nella clinica abortiva, allora sei colpevole.

Le “zone cuscinetto”: bolle di libertà mutilata

Il Public Order Act 2023, in un impeto di zelo autoritario, ha sancito l’intoccabilità delle cliniche abortive e delle donne che vi accedono, creando un raggio di 150 metri attorno a questi luoghi, immune da qualunque forma di contestazione. Niente Bibbie, niente immagini di neonati, niente sorrisi troppo significativi. Persino il tuo respiro potrebbe risultare “oppressivo”. L’aborto, insomma, deve avvenire nel più totale silenzio e consenso sociale. Una zona franca per la “libertà di scelta” dove, ironicamente, la vera scelta – quella di cambiare idea – è diventata impossibile.

E non è tutto. La legge britannica si spinge oltre: pregare dentro queste zone è un crimine non perché si faccia pressione diretta, ma perché si potrebbe, teoricamente, influenzare la decisione di qualcuno. È il trionfo del “reato potenziale”, un concetto che neanche Orwell avrebbe osato immaginare.

E in Italia? Non stiamo a guardare, tranquilli

Se pensate che questa follia rimanga confinata oltre Manica, vi sbagliate di grosso. In Italia, le spinte per un trattamento simile sono già in cantiere. Non dimentichiamo le polemiche roventi sull’apertura della stanza dell’ascolto all’Ospedale Sant’Anna di Torino, dove si proponeva alle donne una riflessione, non un obbligo. Apriti cielo: un consultorio che osa ricordare che esistono alternative all’aborto? Per carità. E che dire delle proteste contro le associazioni pro-life nei consultori? Introdurre un punto di vista diverso sembra un affronto inaccettabile per chi si proclama difensore dei diritti… a senso unico.

Siamo a un passo dalle nostre *buffer zones*. Qualcuno già sogna un’Italia in cui le preghiere silenziose siano considerate attentati al progresso e in cui chi offre un sostegno diverso alle donne in difficoltà venga bandito come un nemico della patria. Perché? Perché il messaggio è chiaro: l’aborto è sacro, la vita no.

Pregare: un crimine d’opinione?

Che cosa rende la preghiera così pericolosa? È una domanda che nessuno osa affrontare apertamente. Forse il problema è che pregare – persino in silenzio – rappresenta un richiamo a qualcosa di più grande, di più umano. Pregare significa credere che ogni vita abbia un valore, anche quella più fragile e indifesa. Pregare ricorda a chiunque ascolti – o anche a chi semplicemente passa accanto – che dietro ogni scelta c’è una responsabilità. E questo, evidentemente, è inaccettabile.

Il caso del Regno Unito ci dice che non si tratta solo di proteggere l’accesso all’aborto, ma di eliminare ogni possibile voce contraria. È una guerra contro l’idea stessa che l’aborto possa essere un errore. Non si tratta di “zone cuscinetto”, ma di vere e proprie bolle di censura, dove la libertà di parola, di pensiero e persino di preghiera viene sacrificata in nome di un’ideologia dominante.

Il paradosso dell’intolleranza progressista

La legge britannica sulle buffer zones è l’apice di un paradosso che ormai abbiamo imparato a riconoscere: l’intolleranza di chi si proclama tollerante. I fautori di queste leggi amano parlare di diritti, ma si guardano bene dall’ammettere che quei diritti non valgono per tutti. Se sei una donna che sceglie di abortire, hai tutto il supporto del sistema. Se sei una donna che sceglie di tenere il bambino, spesso sei lasciata sola. E guai a te se, fuori da una clinica, trovi qualcuno disposto ad aiutarti a vedere un’altra strada.

Perché, alla fine, è questo il punto. Chi prega fuori dalle cliniche non vuole imporre nulla. Vuole offrire un’alternativa, una speranza, un messaggio di vita in un momento di difficoltà. Ma in un mondo dove tutto deve essere semplificato e omologato, anche solo suggerire un’opzione diversa è considerato una minaccia.

La reazione dei pro-life: un atto di resistenza

Nonostante la repressione, i movimenti pro-life britannici non si sono lasciati intimidire. Il 31 ottobre, primo giorno di entrata in vigore delle nuove regole, molti attivisti si sono riuniti appena fuori dalle buffer zones per pregare e offrire sostegno alle donne in difficoltà. È un atto di resistenza civile, un gesto semplice ma potente che dimostra che non tutti sono disposti ad arrendersi all’arroganza del pensiero unico.

E questa resistenza dovrebbe ispirarci. Perché difendere la libertà di pregare – e di esprimere un pensiero diverso – non significa imporre nulla, ma proteggere il diritto di ciascuno a credere, a parlare e, soprattutto, a sperare.

Chi decide cos’è la libertà?

La vicenda delle buffer zones britanniche ci pone una domanda fondamentale: chi decide cosa è giusto e cosa è sbagliato? Chi stabilisce quali pensieri sono ammessi e quali devono essere repressi? In una società veramente libera, non dovrebbero essere i cittadini a scegliere liberamente cosa credere, cosa dire e cosa fare?

Se permettiamo che pregare diventi un crimine, cosa sarà il prossimo? Vietare i sorrisi? Impedire ai bambini di cantare canzoni di Natale? La deriva è pericolosa, e i segnali sono evidenti. Sta a noi decidere se accettarla o resistere. Perché, alla fine, la libertà non è solo un diritto, ma una responsabilità. E chi la difende, anche con un semplice gesto silenzioso, merita rispetto, non repressione.

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Pubblicato inReligione

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