
Le rivelazioni di Mons. Gänswein e Saverio Gaeta nel libro Nient’altro che la verità non sono attacchi a papa Francesco, ma esito del battage pubblicitario gestito dall’ufficio stampa della casa editrice.
Il libro non è stato scritto la notte prima della morte di Benedetto XVI, ma era pronto da tempo: mesi, forse anni. Chi abbia un minimo di dimestichezza con faccende editoriali lo sa, e chi non ne ha può intuirlo senza sforzo.
La scelta del titolo, che richiama apertamente il giuramento nei processi, ha il duplice effetto di far pensare all’ex prefetto della Casa Pontificia come un imputato, e al tempo stesso garantire il lettore che si tratta della nuda verità, prestata sotto giuramento. Anche in questo caso, puro marketing.
L’attrazione per la verità agisce in modo peculiare. Svelare ad esempio che Benedetto XVI fu costretto alle dimissioni (mentendo sul fatto che si sia trattato di decisione libera e autonoma) o che amasse le uova fritte a colazione sono due cose potenzialmente vere ma di peso specifico diverso. Con un gioco di prestigio comunicativo, si allude alla prima verità e si apparecchia la seconda.
Sia che il racconto di Gänswein sia un’innocente raccolta personale di fatti accessori, sia che metta in discussione fatti finora dati per certi, essi vanno valutati nell’insieme dell’opera: lo “scandalo” spesso e volentieri si risolve in un nulla di fatto. Molto rumore per nulla, ma molte più copie vendute.
Sono operazioni accurate che non si improvvisano: spin-doctor selezionano accuratamente elementi dell’opera che possano “bucare” il muro dell’indifferenza eretto dal sovraccarico di informazioni generaliste cui ognuno di noi è sottoposto. Questa “rottura dell’indifferenza perfetta” spinge le persone a comprare il libro.
Sono certo che il libro non contenga alcuna rivelazione scabrosa ma solo ricordi a volte piacevoli, a volte dolorosi, a volte polemici: ingredienti che chiunque scriva un libro di memorie deve conoscere, a meno che non siano favole della buonanotte.
Si può dire che il sensazionalismo cui ci ha abituati la Corona inglese – esce in questi giorni l’autobiografia del principe Harry, ma non si contano i libri pieni di “sconvolgenti rivelazioni” che da decenni minacciano l’esistenza stessa della monarchia – venga imitato da chiunque pubblichi un libro di memorie.
Nel caso della Corona, non parliamo di scandali da poco: figli illegittimi, omicidi, intrighi di ogni specie. Eppure non è accaduto nulla di sconvolgente a seguito di queste rivelazioni.
Monsignor Gänswein è stato la persona più vicina a Joseph Ratzinger sin dai tempi della Congregazione, e Ratzinger è una personalità di rilievo storico che ha compiuto gesti la cui portata si estende ai prossimi decenni, o addirittura secoli.
Cosa aggiunge e cosa toglie, allora, questo libro sul piano storico e oggettivo? Probabilmente molto poco, a parte gettare uno sguardo su aspetti privati tutto sommato di secondo piano, che mostrano il lato meno formale di un’autorità qual è un papa.
Tutto ciò se ammettiamo che Joseph Ratzinger, uomo dal temperamento finemente cesellato e sorvegliatissimo, tenesse un contegno pubblico significativamente diverso da quello privato. Cosa che mi pare poco probabile.
Anche vi fossero affermazioni dirompenti attribuite a Joseph Ratzinger, esse sarebbero comunque riposte in una terza persona, per quanto a lui vicina. Possiamo senz’altro ritenerle fedelmente riportate, eppure è molto difficile intestare a questo tipo di testimonianze valenza veritativa.
Per fare un esempio stupido: affermare che Ratzinger amasse mangiare cosce di pollo fritte di nascosto, sarebbe validato dal ritrovamento di un mucchietto d’ossa di pollo nascoste in un cassetto della sua camera.
Si può pensare, ed è una scelta libera di Mons. Gänswein, che egli faccia rivelazioni riguardo al dietro le quinte di ciò che accade in Vaticano, in particolare a ciò di cui egli è stato testimone diretto: un prefetto della Casa Pontificia viene a contatto con persone importanti e situazioni che richiedono la massima discrezione.
Non ci sono segreti esplosivi, ecco il punto. Non più di quanti ce ne siano in aziende che fanno sottoscrivere a dipendenti e collaboratori contratti di non divulgazione e vincoli di discrezione, o a certi livelli dello Stato, o come sappiamo in Vaticano. In altre parole: ciò che veramente la gente non deve sapere, non viene mai svelato. Con un po’ di fortuna, ne vengono a conoscenza i posteri ma, nell’immediato, si tratta di un genere letterario come un altro (“i misteri del Vaticano”) che ha un suo pubblico attento.
Allora, si dirà, a che pro papa Francesco ha convocato Gänswein imponendogli, come trapelato, il silenzio? Perché riempire i giornali e la rete di presunte “rivelazioni”, a parte l’hype per l’uscita del libro?
Il monsignore ha certamente firmato un contratto editoriale in cui cede i diritti di sfruttamento commerciale dell’opera alla casa editrice per un certo numero di anni. Dunque ci si può assicurare che non dica più di quanto abbia scritto (una sicurezza relativa, ma obbligata) tuttavia non si può evitare che esca, a meno di non ritirare il libro come fece Roberto Speranza, destando ancora più clamore.
Se il papa ha imposto un tardivo silenzio per assicurarsi che nel libro non siano contenute chissà quali “rivelazioni”, ciò non fa altro che innescare il sospetto che non solo Gänswein abbia dato alle stampe dei ricordi fastidiosi per qualcuno – ricordi che possono sembrare banali a lettori ignari del quadro generale – ma che ci sia dell’altro che potrebbe dire e non dirà per obbedienza al papa. Insomma: un pasticcio.
Questi sono dei meccanismi elementari che riguardano la dimensione pubblica della Chiesa. Fu Benedetto XVI ad aprire l’account Twitter del pontefice, di cui oggi papa Francesco fa largo uso. Diventa problematico avallare una comunicazione diretta e poi consegnare al silenzio stampa un libro già annunciato.
Il papa ha tutto il diritto di convocare Gänswein e chiedere spiegazioni, ma questo non si dovrebbe sapere perché si tratta di questioni interne. E invece la notizia dell’incontro è stata ampiamente diffusa.
Delle due l’una: o il libro di Gänswein contiene rilevazioni imbarazzanti – non parlo del fatto, ad esempio, che gli sia dispiaciuto essere rimosso dal papa: sarebbe stupefacente il contrario – oppure Gänswein conosce altro che non ha scritto ma potrebbe rivelare.
C’è una terza possibilità: che la semplice disattenzione e scarsa familiarità coi meccanismi editoriali e comunicativi abbiano creato letteralmente un caso dal nulla.
È lo stesso tipo di errore implicito nella dichiarazione sulle dimissioni già firmate resa da papa Francesco: si innesca un’inutile curiosità, alimentando un chiacchiericcio e sotterfugi che non giovano a nessuno. Oppure c’è dell’altro, e in questa conclusione c’è tutto il problema: confusione, incertezza, sospetti.
Mattia Spanò