Luglio 2019. Quella volta le ossa di Emanuela Orlandi, in seguito alla lettera di un anonimo che aveva invitato a scavare «lì dove guarda la statua dell’angelo», erano state cercate in due sepolcri del Cimitero teutonico, in Vaticano, dove dovevano esserci le spoglie delle principesse Sophie von Hohenlohe e Carlotta Federica di Mecklemburgo, morte da un paio di secoli.
Non c’erano né loro, le nobildonne, né la minima traccia della «ragazza con la fascetta».
E quello fu solo l’ultimo passaggio a vuoto: l’anno precedente, nel 2018, la ricerca dei resti era stata fatta in via Po, nel cortile della Nunziatura, dove erano affiorati un paio di scheletri, mentre nel 2017 si era rincorsa l’illusione di averla localizzata in Inghilterra, dopo il ritrovamento di una nota-spese (fasulla) che attestava lo stanziamento di 483 milioni di lire per tenere Emanuela in vita almeno fino al 1997…
Sono passati ormai 40 anni dal 22 giugno 1983, ma la fine di un’innocente quindicenne (e della coetanea Mirella Gregori, sparita 46 giorni prima) è più che mai d’attualità, come dimostra sia l’inchiesta annunciata dal Vaticano sia la recente richiesta dei partiti d’opposizione (Pd, M5S e Azione) di istituire una commissione parlamentare ad hoc.
Come per il caso Moro. Come per le stragi di Stato.
Già, perché la vera cifra della vicenda Orlandi, paradossalmente, più ci si allontana dai fatti più sembra emergere e ricondurre alle storie peggiori dell’Italia delle trame. Le domande centrali, da quell’estate 1983 scandita da comunicati all’apparenza deliranti, in fondo sono rimaste sempre le stesse. Cosa impedisce la verità?
Tirando il filo da un fatto di cronaca, a quali segreti inconfessabili si potrebbe arrivare?
E ancora: quale fu il movente dell’azione dei rapitori che, attirandole in un tranello, tolsero ai loro affetti Emanuela e Mirella?
Terrorismo internazionale nell’ambito della Guerra fredda (con l’obiettivo di far ritrattare Agca dopo le accuse di complicità a Est), ricatto legato al dissesto della casse papali (scandalo Ior-Ambrosiano) oppure torbidi giri sessuali?
Una risposta in controluce viene dall’analisi delle due inchieste sul caso Orlandi-Gregori. La prima (1983-1997), iniziata all’indomani del mancato ritorno a casa e conclusa ben 14 anni dopo, puntò sugli indizi emersi: le rivendicazioni (con alcune prove di possesso degli ostaggi), la richiesta di «scambio» con Alì Agca, le telefonate in Vaticano di un uomo, forse straniero, ribattezzato l’«Amerikano».
Il Papa polacco prese sul serio l’accaduto: Giovanni Paolo II rivolse addirittura 8 appelli per le ragazze, mentre il presidente Pertini arrivò a preparare una bozza del provvedimento di grazia per il turco, in un clima di grande tensione, con addosso gli occhi degli 007 dell’Est e dell’Ovest.
Più si andava avanti, però, più il groviglio diventò inestricabile.
Il tempo cura le ferite? Non degli Orlandi né dei Gregori, sempre in attesa. E così, dal 2008, con la seconda inchiesta centrata sulla partecipazione della banda della Magliana (grazie alle rivelazioni di Sabrina Minardi), il giallo tornò a decollare.
L’«indegna» sepoltura del boss De Pedis a Sant’Apollinare, d’altra parte, gettava il sospetto su certe collusioni. Le stesse raccontate da Marco Accetti, l’uomo che nel 2013 ha consegnato il flauto riconosciuto dalla famiglia come quello di Emanuela e messo a verbale le sue verità sui codici usati dagli ideatori del piano (laici criminali, tonache dissidenti, 007 deviati) per esercitare ricatti e condizionare la politica di Wojtyla. A cominciare dal 158, il numero “passante” per ottenere la linea diretta con la Segreteria di Stato (anagramma di 5-81, mese e anno dell’attentato al Papa di due anni prima), per arrivare ad “Aliz” (anagramma incompleto della parola “Lazio”), codice usato per rimandare al calciatore Bruno Giordano, la cui ex moglie Sabrina Minardi, era all’epoca amante del boss della banda della Magliana De Pedis. Misteri, depistaggi, nuove chiavi di lettura.
La seconda inchiesta, condotta dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, fu archiviata nel 2015 su impulso del procuratore Giuseppe Pignatone, a conclusione di uno scontro senza molti precedenti a Palazzo di Giustizia. Poi, con decreto del 3 ottobre 2019 firmato da papa Francesco, lo stesso Pignatone è stato nominato presidente del Tribunale vaticano. E siamo così tornati dentro le Sacre mura, dove da oggi si riprenderà a indagare.
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