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La guerra non finisce alimentandola

A chi giova la guerra in Ucraina che dura ormai da più di un anno e non accenna a risolversi? Non giova al popolo ucraino, anzitutto, martoriato e devastato nella carne, nello spirito, nelle case e nelle città. Non giova ai russi, logorati da questa guerra lunga e sanguinosa, come se fosse un Vietnam o un nuovo Afganistan; la Russia già conta più di centomila soldati uccisi, i danni patiti a ogni livello superano di gran lunga i risultati che volevano ottenere con l’invasione. Non giova all’Europa, tornata a essere una succursale subordinata degli Stati Uniti e della Nato, priva di una sua politica estera; oltre a sobbarcarsi oneri militari ed effetti pesanti delle sanzioni, è in prima linea perché sta combattendo contro i suoi vicini russi per conto dei lontani americani; esponendo a rappresaglie le basi Nato in Italia.

A chi giova, dunque? Giova alla popolarità di Zelensky, e al suo mutarsi da guitto e liberticida (partiti sciolti, stampa repressa, continue epurazioni), in eroe di guerra e insieme eroe umanitario, nonché statista. Giova agli Usa che s’impongono a pieno regime come il Gendarme del Mondo e nel conflitto rischiano sulla pelle altrui, logorano la Russia, assoggettano l’Europa, esposta ai maggiori rischi, rilanciano la Nato e gli arsenali militari. E giova alla Cina che si eleva al di fuori del conflitto e al di sopra delle parti, con un ruolo di equilibrio sullo scacchiere mondiale, e la doppia prospettiva di diventare l’ago della bilancia nel conflitto tra Russia e occidente o di trarre maggior profitto da una Russia indebolita dal conflitto che ripiega su un’alleanza asiatica, Cina-Russa in funzione antioccidentale; anche per evitare le minacciate norimberghe contro Putin dopo il conflitto.

E’ falsa la lettura che la sciagurata invasione russa dell’Ucraina fosse un attacco all’Europa: era invece da una parte il frutto di un mancato accordo internazionale sulle regioni filo-russe dell’Ucraina già sottoposte a dura repressione dal regime di Kiev, e dalla prospettiva di nuove basi Nato a due passi dal confine russo; e dall’altra il tentativo di Putin di ripristinare un ruolo di superpotenza alla Russia, restaurando l’area d’influenza fino ai confini della vecchia Russia zarista e sovietica. Ma è follia pensare che dall’Ucraina la Russia volesse poi invadere l’Europa.

La guerra ha aumentato i rischi nucleari e l’ipotesi di un conflitto atomico devastante; ha reso più difficili i commerci e gli approvvigionamenti energetici, peggiorando le condizioni di vita dei paesi coinvolti anche indirettamente nel conflitto; anche se, va detto, i danni economici patiti, almeno finora, sono minori di quelli paventati. In cambio la situazione non è migliorata per gli ucraini, anzi; aumentano i morti e le distruzioni e non accennano a concludersi. E’ difficile pensare che la Russia perda il conflitto; può succedere solo se l’Occidente scende definitivamente in guerra, con conseguenze incalcolabili di una catastrofe mondiale. Dunque meglio pensare a una trattativa anziché a un nuovo processo Saddam contro Putin. La linea della saggezza e del realismo sarebbe quella di avviare sul serio le trattative, affidandosi a tutti i soggetti terzi disponibili: la Cina, la Turchia, il Vaticano, i paesi non allineati come l’India. Ma l’Europa dovrebbe ritirarsi dal conflitto e dalla fornitura d’armi.

E’ partito in silenzio l’appello a firmare un referendum per ripudiare la guerra nel nome della Costituzione. Non ha un marchio politico, anche se è caldeggiato da Marco Rizzo. E’ scritto da giuristi e firmato da pubbliche figure, non tutte di sinistra, che si sono costituiti in Comitato promotore. Chiedono l’abrogazione delle disposizioni per l’invio di armi all’Ucraina e in generale ai paesi in stato di guerra. “Il pericolo concreto che si vuole a tutti i costi scongiurare con questa iniziativa è quello che l’Europa si trasformi in una polveriera”, o come è scritto dopo, si esponga “a un olocausto nucleare”. La gente, fa notare il documento, ha tutto da perdere e nulla da guadagnare da questo perdurare del conflitto. L’appello lancia tre quesiti per frenare questa deriva, almeno per quanto riguarda il nostro Paese. Non so se servano questi appelli, che mai hanno fermato una guerra; c’è il rischio che vengano usati in modo improprio se non distorto, per portarci in altra direzione o semplicemente per creare ostacoli al governo Meloni. Ma la denuncia in sé è da prendere in seria considerazione. L’appello è stato scritto da un gruppo di giuristi, ma i primi firmatari sono docenti universitari di altri ambiti di studio, registi e autori cinematografici, giornalisti, intellettuali.

Sappiamo bene che una prospettiva di equilibrio geopolitico può essere ritrovata solo a certe condizioni: se la Russia verrà frenata nei suoi disegni egemonici ma non processata e umiliata; se l’Europa ritrova la sua autonomia sovrana, in grado di porsi come naturale asse mediano tra gli Stati Uniti e la Russia; e se la Cina e gli Usa saranno tenute il più possibile fuori dall’area calda del confine euroasiatico. Viceversa, qualunque squilibrio e qualunque sconfitta e mortificazione totale di una potenza in campo, espone il mondo, a partire dall’Europa, a un rischio enorme di guerra. E’ tempo di statisti, di grande politica e grande diplomazia, e non di leader in armi e paesi in tenuta da guerra. Sul piano internazionale, prima che la posizione da falchi assunta dall’Italia dietro gli Usa di Biden con Draghi, Letta e Mattarella ieri, con Meloni, Crosetto e Mattarella oggi, a preoccupare è l’incapacità di assumere iniziativa politica e strategica dell’Europa, della Francia e della Germania. Un primo tempo Scholz e Macron avevano frenato rispetto alla linea oltranzista e bellicista di Biden; dopo, che è successo, quali ricatti, quali minacce, pressioni o conversioni li hanno fatto cambiare idea? Intanto in Ucraina si muore ancora e sull’Europa e sul mondo si allungano ombre minacciose.

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Pubblicato inEditoriale

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