
Via libera dall’aula della Camera alla proposta di legge che punta all’istituzione di una commissione di inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid in Italia. Il testo, approvato ieri a Montecitorio con 172 voti a favore, nessun contrario e quattro astenuti, passa ora al Senato. I deputati M5S non hanno partecipato alla votazione finale lasciando, per una volta almeno, gli scranni. Nemmeno quelli del Pd hanno partecipato alla votazione, ma sono rimasti nell’emiciclo, sventolando le loro tessere di voto come garrule bandierine rosse al vento. Dopo la proclamazione del risultato, i deputati di maggioranza hanno – e a ragione – invocato in coro “Verità, verità”.
Ed ecco l’eccezionale, straordinario avvocato dei poveri, “Giuseppi” Conte (la volpe), che sale sul palco della Camera e dà inizio alla sua pantomima fatta di lamentele e contumelie. “La commissione di inchiesta sul Covid è un’infamia! Un agguato politico a me e (al mio caro, piccolo) Speranza!” esclama ammantato in fulgida veste di martire. Così, il burattino a capo del M5S, armato di retorica e retorica solamente, ha dato vita a una sceneggiata degna di Mario Merola.
“Questo inganno ben orchestrato, escludendo opportunamente tutto ciò che potrebbe davvero importare, è una sberla alla faccia degli italiani!” Ma certo, la loro sofferenza e l’operato del personale sanitario e della polizia ha tutto a che fare con l’indagine, vero, azzeccagarbugli dei miei stivali? Ah, il buon vecchio Conte! Pronto a sventolare il vessillo dell’emotività per sviare il discorso dalla sua incompetenza. “Questa commissione è un plotone di esecuzione politico nei confronti miei e di Speranza”. Amico caro, persino tu dovresti sapere che i tribunali non sono la sala delle feste di casa tua…
L’ex premier cerca poi di autoincensarsi per il “lavoro” svolto durante la pandemia: “Oh, abbiamo combattuto un nemico invisibile, un virus misterioso, in una situazione dove eravamo vulnerabili e fragili, senza un manuale d’istruzioni (aggiornato)!” E aggiunge: “Ci siamo impegnati al massimo, senza dormire, per salvare il Paese”. Se lo sforzo venisse valutato per quante volte si è pettinato i capelli, avrebbe vinto il premio Nobel.
Dall’altra parte, abbiamo Roberto Speranza (il gatto), l’ex ministro della Salute, che Oltretevere è conosciuto come “er cazzaro”. Aria smunta e patetica, rischia di farci addormentare con la sua retorica tipo “gli anni del Covid sono stati duri per il mondo intero, abbiamo più di 760 milioni di casi e 7 milioni di morti, e ci sono molte cose da imparare”. Ma a lui, tutto quello che importa è sviare l’attenzione della futura commissione spostandola sull’Ema. Non parla delle procedure di autorizzazione dei vaccini, ma di questioni no vax. “Perché state escludendo le regioni dall’indagine?” si lamenta. Forse, signor Speranza, il problema non sono le regioni, ma la vostra malagestione dell’emergenza.
Speranza, con una facciatosta da sbalordire, sostiene che lui e la sua congrega di politicanti di mezza tacca sono stati legislatori competenti, che il Paese ha bisogno di unità e non di polemiche, di regole e serietà, non di propaganda inutile. E ancora che sono, e noi dovremmo esserlo con loro, orgogliosi del lavoro svolto, orgogliosi di un’Italia che ha resistito e si è rilanciata, grazie a medici e personale sanitario. Insomma, pretende di essere considerato un eroe, esigendo pure il tributo che a suo dire meriterebbe. Ma, signor Speranza, gli eroi veri non sono i “fafiuché” (in dialetto piemontese “persona che parla tanto e non conclude niente”) che elemosinano riconoscimenti, gli eroi veri sono quelli che si rimboccano le maniche e lavorano lavorano a testa bassa senza chiedere nulla in cambio. Capito?
Per concludere, Speranza termina con una nota personale: “Ho sempre sostenuto che chiunque avesse avuto responsabilità decisionale in una situazione così drammatica dovesse essere pronto a rendere conto”. E il coro si alza in un ironico, fragoroso applauso quando rivendica che lui e Conte hanno “operato nell’interesse del Paese con disciplina e onore, come recita la Costituzione”. E noi ti diciamo, caro Speranza, che siamo stufi del tuo sentimentalismo melodrammatico. Hai ragione su una cosa: devi rendere conto. Ma non perché sei un martire o un eroe, nient’affatto, ma perché, come tutti gli altri e più degli altri, sei soggetto alle leggi di questo Paese.
“Non era il risultato di un governo, ma di un Paese” è la chiosa finale. Beh, certo, l’immagine di un Paese in preda al caos più totale grazie al vostro governo raffazzonato e imbelle… E ancora: “Non eravamo noi a cambiare idea ogni minuto: ‘aprite, chiudete, aprire, chiudere”. Oh, certo, voi siete stati coerenti: come un girandola al vento. E prima che cali pietosamente il sipario, il “nostro” si lancia in un’elegia dei vaccini, forte dell’appoggio di Big Pharma, un Paperone al cubo che sguazza beato nel denaro, il nostro. E quei milioni di dosi che giacciono inutilizzate, cui l’Aifa ha pensato bene ma tardivamente di prorogare la data di scadenza?
Insomma, un doppio atto che si è tristemente dipanato fra le mura della Camera. Una tragicommedia messa in scena da due attori improvvisati che cercano di vestire i panni dei martiri, ma non riescono a celare la loro statura di burattini.
Dino Valle