Il 13 gennaio 1943 rappresenta un momento cruciale nella storia militare italiana, segnando l’inizio della disastrosa ritirata delle truppe italiane dalla Campagna di Russia, una delle pagine più tragiche del secondo conflitto mondiale.
La preparazione per la Campagna di Russia
La decisione di Mussolini di partecipare alla campagna contro l’Unione Sovietica non fu presa alla leggera. L’Italia mobilitò un’imponente forza di 230.000 uomini, 16.700 automezzi, 4.500 motomezzi, 1.150 trattori d’artiglieria, 25.000 quadrupedi, 940 cannoni e migliaia di armi leggere. Nonostante il numero e l’equipaggiamento, l’esercito italiano era mal preparato per una campagna di tale portata e in un teatro così ostile.
L’inizio dell’epopea: lo CSIR e l’ARMIR
Le forze italiane iniziarono il loro ingresso nel conflitto con il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR), costituito inizialmente da 50.000 uomini nel luglio 1941. Un anno dopo, con l’arrivo dei 200.000 uomini dell’ARMIR (Armata Italiana in Russia), l’impegno italiano raggiunse il suo apice. Le divisioni alpine, come la Tridentina, la Julia e la Cuneense, furono tra le protagoniste di questa campagna, operando lungo un fronte di oltre 300 chilometri sul fiume Don.
Il feroce inverno e la lotta per la sopravvivenza
L’inverno del 1942-43 fu particolarmente brutale. Le truppe italiane, equipaggiate inadeguatamente con scarpe bucate e vestiti inadatti, affrontarono temperature che scendevano fino a -30 gradi Celsius. La scarsità di cibo, munizioni e comunicazioni aggravò ulteriormente la situazione. Aneddoti come l’invio di olio d’oliva da Roma dimostrano la mancanza di comprensione e supporto da parte dei comandi superiori.
La catastrofica ritirata
Il 13 gennaio 1943, dopo il secondo sfondamento sovietico, iniziò la lunga e disperata ritirata delle truppe italiane. Questo inferno in terra vide la caduta di moltissimi soldati, sia in battaglia che a causa delle terribili condizioni climatiche. Altri furono catturati e internati. La campagna si concluse con un bilancio devastante: 74.000 soldati italiani persero la vita, mentre altri 26.000 furono rimpatriati per ferite o congelamenti.
Il duro ritorno e le testimonianze
La ritirata fu segnata da storie di disperazione e coraggio. Tra queste, spiccano i racconti di Mario Rigoni Stern, come nel suo “Il Soldato nella neve”, che offre uno spaccato drammatico di questi eventi. La domanda “Sergente maggiore, torneremo a casa?” divenne un mantra tra i soldati, molti dei quali non sarebbero mai tornati.
Il 26 gennaio 1943, durante l’ultima battaglia a Nikolajevska, le truppe italiane, guidate dal generale di brigata Giulio Martinat, tentarono disperatamente di sfondare l’accerchiamento sovietico. Martinat, alla testa del battaglione Edolo della divisione Tridentina, cadde eroicamente in battaglia, imbracciando un moschetto e incitando i suoi uomini: “Avanti alpini, avanti di là c’è l’Italia, avanti!”