Il 18 gennaio 1976 segna una data cruciale nella storia del terrorismo italiano. In quel giorno, Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse, insieme alla sua nuova compagna Nadia Mantovani, venne arrestato in un appartamento in via Maderno a Milano: l’epilogo di una serie di azioni e manovre che hanno avuto un impatto significativo sulle dinamiche interne dell’organizzazione terroristica.
Renato Curcio, insieme ad Alberto Franceschini, era già stato arrestato l’8 settembre 1974. Entrambi vennero catturati nei pressi di Pinerolo mentre erano a bordo di una Fiat 128, diretti a un incontro con Silvano Girotto, noto come “frate mitra”, che si rivelò essere un infiltrato dei carabinieri del generale Dalla Chiesa. Tuttavia, questa cattura non segnò la fine delle attività di Curcio.
Il 18 febbraio 1975, come conseguenza di un’azione diretta e guidata dalla moglie Margherita “Mara” Cagol, Curcio riuscì a evadere dal carcere di Casale Monferrato e a fare ritorno nelle Brigate Rosse, dove però la sua posizione era diventata marginale. “Mara”, la sua compagna storica, venne tragicamente uccisa in un conflitto a fuoco con i carabinieri nel giugno del 1975, durante la liberazione dell’industriale Vallarino Gancia, sequestrato a scopo di autofinanziamento del gruppo.
Da agosto 1975, i carabinieri avevano nuovamente individuato Curcio grazie al pedinamento di Nadia Mantovani, un’importante brigatista. Tuttavia, il “contatto” con Curcio si era perso e ripreso almeno mezza dozzina di volte, rendendo difficile la cattura definitiva.
Ai primi di gennaio 1976, venne individuato l’appartamento in cui Curcio e la giovane Mantovani abitavano, situato al quarto piano in via Maderno 5. Di fronte a questa abitazione sorgeva la chiesa di Santa Maria di Caravaggio, dove i carabinieri, ottenuto il permesso dal parroco don Luigi Lattuada, si appostarono sul campanile. Utilizzando teleobiettivi e macchine fotografiche a raggi infrarossi, riuscirono a fotografare ripetutamente Curcio e la Mantovani, raccogliendo prove decisive per l’operazione.
La trappola si chiuse nel tardo pomeriggio di domenica 18 gennaio, quando, appena Curcio e la Mantovani fecero ritorno nell’appartamento, i carabinieri procedettero all’arresto. Quel che seguì fu una furiosa sparatoria, un inferno di fuoco che durò 25 minuti, causando il ferimento di un brigadiere e dello stesso Curcio.
Curcio venne immediatamente medicato all’ospedale Fatebenefratelli e, successivamente, trasferito alla caserma dei carabinieri in via Moscova. In seguito, fu tradotto in carcere a Bologna, dove rimase rinchiuso fino al 7 aprile 1993.
Questo arresto segnò non solo la fine della fuga di Curcio, ma anche un punto di svolta nella lotta contro il terrorismo in Italia. La cattura di uno dei principali esponenti delle Brigate Rosse rappresentò un duro colpo per l’organizzazione e un segnale di speranza per un Paese stanco e provato dalla violenza terroristica.
La vicenda di Curcio e della Mantovani è emblematica delle complesse dinamiche che hanno caratterizzato gli anni di piombo in Italia. La loro storia riflette un periodo di grande turbolenza sociale e politica, in cui le ideologie estreme hanno portato a scelte di violenza inaudita.