In queste settimane la parola “pace” è tornata a riempire le dichiarazioni ufficiali. Tutti la invocano, tutti la promettono, ma quando si passa dai proclami ai testi scritti il quadro si fa subito fragile. Prima arriva la promessa folgorante di Trump, poi il suo piano dettagliato, quindi le modifiche chieste da Zelensky e, infine, l’irruzione dell’Europa con una proposta alternativa. Sullo sfondo, intatta, resta la domanda che nessuno riesce a soffocare: qualcuno sta davvero costruendo un accordo che anche Putin possa firmare, oppure si tratta dell’ennesima architettura diplomatica fatta per rassicurare l’Occidente più che per convincere Mosca?
Dalla promessa al piano vero e proprio
All’inizio Trump lancia solo uno slogan: dice che chiuderà la guerra in un giorno, come se bastasse un incontro con Putin e Zelensky per riavvolgere il nastro della storia. È linguaggio da comizio, senza dettagli né sostanza.
Poi, però, il messaggio cambia. Con il suo ritorno alla Casa Bianca, cominciano i contatti sotterranei, gli incontri riservati, i colloqui lontani dai riflettori. A febbraio si tiene un primo confronto tra Stati Uniti e Russia in Arabia Saudita, senza l’Ucraina al tavolo: un gesto evidente, quasi provocatorio. Washington vuole parlare direttamente con Mosca e mette Kiev davanti al fatto compiuto.
Ad aprile, la promessa diventa carta: un documento in ventotto punti, frutto di trattative riservate tra emissari americani e rappresentanti russi. Non è più propaganda: è un piano completo che, in molti passaggi, rispecchia le condizioni minime del Cremlino.
L’impianto del piano proposto da Trump
Il fulcro della proposta americana si articola intorno a tre idee.
La prima riguarda i territori: l’Ucraina dovrebbe accettare la perdita della Crimea e di ampie porzioni del Donbass, trasformando di fatto l’occupazione in un nuovo ordine riconosciuto.
La seconda impone gravi limitazioni alle Forze Armate ucraine, che verrebbero ridotte e private della capacità di offendere.
La terza prevede la neutralità permanente, ossia la rinuncia formale all’ingresso nella NATO.
In cambio, gli Stati Uniti mettono sul tavolo un grande programma economico per la ricostruzione, finanziato anche con i beni russi congelati, e un impegno generico a proteggere l’Ucraina “a distanza”.
Sul versante russo, il piano offre una graduale rimozione delle sanzioni e il ritorno nei circuiti economici internazionali. È chiaro perché Mosca lo giudichi “una base accettabile”: consolida ciò che il Cremlino possiede già sul terreno.
Zelensky tra necessità, orgoglio e dignità ferita
Per Kiev, la prima versione del piano è un colpo allo stomaco. Zelensky denuncia che legalizzerebbe un confine imposto dai carri armati e priverebbe il Paese del diritto di difendersi. Dice che l’Ucraina non può firmare la propria mutilazione territoriale.
Ma la realtà della guerra non gli lascia molte alternative. L’Ucraina vive grazie agli aiuti occidentali, e Washington fa capire che il sostegno non è illimitato. È a questo punto che Zelensky abbandona il rifiuto netto e accetta di lavorare a una revisione insieme agli Stati Uniti.
Nasce così la versione rivista del piano, su cui americani e ucraini si confrontano a Ginevra. Le modifiche alleggeriscono alcune concessioni territoriali e rendono più robuste le garanzie di sicurezza. Non è un ribaltamento completo, ma una limatura significativa.
Zelensky oggi sostiene che l’Ucraina è «pronta a proseguire» sul testo americano, ma ribadisce che i confini non possono cambiare per la forza delle armi. È la posizione di chi cerca di restare in piedi senza cadere in ginocchio.
L’irruzione dell’Europa per non restare fuori dai giochi
Quando gli Stati Uniti, la Russia e l’Ucraina hanno già avviato la discussione, l’Europa decide di entrare in campo. Tardi, come spesso accade, ma decisa a non essere relegata in tribuna.
Regno Unito, Francia e Germania costruiscono un contro–piano, sempre in ventotto punti, che si basa sull’impianto americano ma lo modifica in modo sostanziale. Bruxelles ribadisce che ogni accordo deve rispettare la sovranità ucraina e non può sancire l’annessione dei territori occupati.
Il testo europeo rende più esigenti le condizioni per la revoca delle sanzioni, più solide le garanzie per Kiev e più coerente l’idea di una futura integrazione europea dell’Ucraina. È un tentativo di riequilibrio, che però irrita Mosca.
Il Cremlino boccia il documento, definendolo “inutile”, e insiste sul fatto che solo la versione originaria americana può aprire un negoziato reale.
Il nodo che nessuno sa o vuole risolvere
Sotto la superficie dei comunicati, la questione resta elementare.
Putin vuole che il mondo riconosca le conquiste territoriali della Russia e che l’Ucraina resti neutrale, disarmata, prevedibile.
Zelensky rifiuta qualsiasi accordo che legalizzi le annessioni o lo trasformi nel presidente che ha ceduto il Donbass.
Gli Stati Uniti cercano una formula che eviti un collasso ucraino senza alienarsi completamente Mosca.
L’Europa vuole un testo moralmente sostenibile, ma non abbastanza duro da far saltare il tavolo.
E mentre la diplomazia affina le virgole, la guerra continua: le linee del fronte si muovono e nessuno rinuncia davvero all’idea di ottenere qualcosa anche con le armi.
E davvero qualcuno pensa che Putin cambi rotta?
A questo punto la domanda nasce spontanea: ma davvero qualcuno crede che Putin si discosti dalla sua linea originaria?
La risposta, guardando ai fatti, è no. Il Cremlino non ha alcun motivo per correggere la propria impostazione. Oggi la Russia sente di avere l’iniziativa militare, percepisce un Occidente diviso e sa che il tempo, più che all’Ucraina, giova a lei.
Per Putin, il percorso è lo stesso dell’inizio: consolidare ciò che controlla, legittimarlo politicamente, impedire per sempre che l’Ucraina entri nella NATO e ridurne l’autonomia militare. Nessuno dei piani in circolazione intacca realmente queste priorità.
Si discosterà da questa linea solo se verrà costretto dalla forza, oppure se riceverà di più di ciò che già ha in termini di riconoscimento politico internazionale. Due condizioni che oggi non esistono.
La diplomazia occidentale, nel frattempo, produce testi, bozze e controbozze che sembrano parlare più a Bruxelles e Washington che a Mosca. E proprio per questo, restano sospese nel vuoto.
Pace possibile o diplomazia che parla da sola?
Eccoci alla domanda finale: esiste oggi un piano che sia firmabile da Kiev e accettabile per Mosca?
La risposta rimane negativa.
Il piano originale è troppo vicino alle richieste russe, quello rivisto è troppo lontano dalle stesse, e quello europeo è un esercizio di equilibrio che rischia di non piacere a nessuno.
Siamo in una fase in cui la pace è scritta sulla carta, ma non nella realtà. Le trattative procedono, ma il loro stesso avanzare svela il vuoto che sta al centro: nessuno vuole davvero cedere ciò che l’altro considera indispensabile.
E finché territori e sicurezza restano nodi irrisolti, ogni piano sembra destinato a diventare una bozza buona per le conferenze stampa, non per la storia.

Sii il primo a commentare