Torino non è stata lasciata all’improvviso. È stata accompagnata lentamente verso l’uscita, come si fa con un ospite che non serve più. Prima la manifattura, poi la produzione, ora perfino la parola scritta. Dopo la Fiat – diventata Stellantis, cioè tutto e niente, ovunque e in nessun luogo – tocca all’editoria. Gli eredi Agnelli, tramite Exor, si preparano a cedere il Gruppo GEDI, l’ultimo grande presidio simbolico rimasto alla città: quello dell’informazione.
Non è solo una vendita. È un disimpegno definitivo, culturale prima ancora che industriale. Torino non serve più nemmeno come vetrina morale.
GEDI in vendita: molto più di Repubblica e Stampa
Raccontarla come una semplice cessione di la Repubblica sarebbe riduttivo, quasi rassicurante. In realtà il pacchetto GEDI è un colosso mediatico che tiene insieme quotidiani nazionali, storici giornali locali, riviste culturali, radio seguitissime e piattaforme digitali.
Al centro restano ovviamente la Repubblica, quotidiano nazionale con diffusione e influenza politica, e La Stampa, nata a Torino nel 1867, non una testata qualunque ma un pezzo di identità cittadina, quasi un monumento civile. Ma attorno a questi due pilastri ruota un sistema ben più ampio.
Nel perimetro GEDI rientra anche Il Secolo XIX, storico quotidiano ligure, insieme ad altre testate locali come La Provincia Pavese, che rappresentano il legame diretto con i territori. Poi c’è il mondo dei periodici: L’Espresso, una volta punta di diamante del giornalismo d’inchiesta; Limes, riferimento della geopolitica; Le Scienze; Mind; le edizioni italiane di National Geographic e National Geographic Traveler, marchi culturali riconosciuti a livello internazionale.
E non finisce qui, perché GEDI è anche radio e intrattenimento. Attraverso Elemedia controlla Radio Deejay, Radio Capital e Radio m2o, tre emittenti nazionali con milioni di ascoltatori, capaci di influenzare linguaggi, mode e persino il senso comune. A questo si aggiungono HuffPost Italia e una costellazione di piattaforme digitali, podcast e contenuti multimediali.
Altro che “solo giornali”. Qui si vende un intero pezzo di ecosistema culturale italiano.
La trattativa: cifre modeste, resa simbolica enorme
Le trattative sono ormai entrate nel vivo. Exor ha avviato un negoziato in esclusiva con il gruppo greco Antenna, controllato dall’imprenditore Theodore Kyriakou. Le cifre che circolano parlano di 120–140 milioni di euro per la parte principale degli asset. Una somma che, nel mondo Exor, equivale a spiccioli: meno di quanto si muove in una singola operazione finanziaria internazionale.
C’era stata anche un’offerta italiana, quella di Leonardo Maria Del Vecchio, attorno ai 140 milioni, ma è stata accantonata. Meglio l’estero, ancora una volta. Più fluido, meno vincoli, meno domande scomode.
Non è nemmeno escluso che alcune testate vengano spezzettate, con La Stampa potenzialmente separata dal resto o relegata a ruolo marginale. Il che, per Torino, sarebbe l’ultimo insulto: perdere non solo l’industria, ma anche il giornale che per decenni ha raccontato la città al mondo.
Giornalisti in rivolta, politica afona
Le redazioni non stanno a guardare. Scioperi, assemblee permanenti, giornali fermi. I giornalisti chiedono garanzie su occupazione, indipendenza editoriale e linea culturale. Domande legittime, ma che arrivano tardi: quando il pacco è già sul nastro trasportatore.
La politica balbetta, invoca “trasparenza”, chiede rassicurazioni. Le stesse parole sentite mille volte con la Fiat, con l’auto, con gli stabilimenti chiusi dopo aver incassato incentivi. Il copione è identico, cambia solo il settore.
Dall’auto all’informazione: il metodo è lo stesso
Nel settore automotive lo schema è ormai chiaro: incassare, delocalizzare, alleggerire, sparire. Stellantis ha beneficiato di fondi pubblici, cassa integrazione, agevolazioni, per poi ridurre la presenza produttiva in Italia. Ora lo stesso spirito anima l’editoria: nessun radicamento, nessuna responsabilità storica, solo valorizzazione finanziaria dell’asset.
Torino diventa un ricordo, una cartolina buona per le pubblicità, come già accade con Fiat. La città che ha dato tutto viene lasciata con niente.
Quando si vende anche la voce, resta solo il silenzio
Vendere GEDI non è un’operazione neutra. È l’atto finale di una lunga fuga. Dopo le fabbriche, dopo il lavoro, dopo l’indotto, ora se ne va anche la voce che raccontava il Paese. Torino perde un altro pezzo di sé, e l’Italia perde un altro centro di gravità culturale.
Gli Agnelli-Elkann non abbandonano solo una città. Abbandonano un’idea di responsabilità nazionale, quella per cui chi ha ricevuto molto restituisce almeno qualcosa. Qui non si restituisce nulla. Si chiude la cassa e si abbassa la serranda.
E quando se ne vanno anche i giornali, non resta neppure qualcuno a raccontare il saccheggio.

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