Signore e signori, preparate i popcorn e mettetevi comodi, perché la storia che sto per raccontarvi è meglio di una telenovela brasiliana. Il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo del PD, ha deciso che trasformare un’occupazione illegale, ben tollerata, se non più o meno apertamente agevolata, ormai da quasi trent’anni (guarda caso, da quando in Sala Rossa chi comanda è quasi ininterrottamente proprio di quel colore), in un “bene comune” è una gran bella idea. Sì, stiamo parlando del centro sociale Askatasuna, quel posto che fino a ieri era visto come la roccaforte della resistenza urbana e oggi diventa un esempio di civiltà urbana. Ironico, vero?
L’idea geniale arriva da un comitato cittadino, dove attivisti, persone dello spettacolo e docenti universitari si sono uniti per dire: “Ehi, questo posto è importante per la cultura della città!” E il sindaco Lo Russo, forse in cerca di un po’ di quella popolarità che non ha, e che solo i centri sociali sembrano in grado di generare, ha detto: “Perché no?”
Ecco quindi il centro sociale Askatasuna trasformato in un salotto culturale (“Ecchè, a Torino esiste solo il Circolo del Whist?”), di cui eminenti personaggi quali lo storico Alessandro Barbero e il fumettista Zerocalcare possono vantarsi di varcato la soglia. Chissà se hanno anche bevuto un caffè sul divano di qualche occupante?
Ma attenzione, la strada per la legalizzazione è irta di ostacoli. Prima di tutto, gli occupanti devono andarsene spontaneamente (e qui ci sta un bel “buona fortuna”), poi ci saranno sopralluoghi per vedere se l’edificio stia per crollare o meno. E alla fine, se tutto sarà andato bene, l’ex centro sociale diventerà un luogo “aperto a tutti”. Certo, a patto che il “tutti” non includa chi non condivide la sua linea “cromatica”.
Oh, quasi dimenticavo: ci sono state indagini e processi per associazione a delinquere e resistenza a pubblico ufficiale, legate ad azioni violente durante numerose manifestazioni, perlopiù patrocinate dalla sinistra, che strizza l’occhio ai “nuovi diritti”, perlopiù antigovernative. Pensate, alcuni suoi degni rappresentanti, intonando fieri L’Internazionale col pugno sinistro chiuso ben levato (ah già, l’esecrazione generale è lecita, barra dovuta, solo per il saluto romano dei nostalgici fascisti…), il 19 gennaio 2013 a Coviolo (Reggio Emilia) hanno sfilato al funerale dell’ex brigatista Prospero Gallinari. Ma secondo il sindaco, queste sono solo piccole macchie (“So’ ragazzi”…) su un tessuto altrimenti immacolato. O quasi.
Ovviamente, l’opposizione di destra e centrodestra ha reagito come se fosse stata punta da un’ape. “Legalizziamo la violenza politica?” esclama il ministro Paolo Zangrillo. E il presidente del Piemonte Alberto Cirio, pur ammettendo di non conoscere bene la vicenda, rivela: “Forse non sono la persona più indicata per dare un parere perché è da quattro anni che vivo sotto scorta (dopo i volantini, comparsi il 30 settembre 2020 sul muro esterno del centro sociale, dove era raffigurato come Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse). Dico solo che se non c’è legalità non ci deve essere libertà”.
Sul discusso e assai discutibile “progetto” di Lo Russo & Co. è poi sceso in campo, senza mezzi termini, anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: “Si tratta di un’iniziativa sulla quale ho chiesto elementi di approfondimento alla Prefettura di Torino. Ma che, tuttavia, induce a sottolineare, sin d’ora, come non possa e non debba costituire, in alcun modo, una sorta di legittimazione. O addirittura di premio per l’operato di un centro sociale che si è distinto negli anni per l’esercizio della violenza. Piuttosto che per il dialogo e il confronto democratico orientato al bene comune”. Perché, vedete, premiare un centro sociale che ha una laurea cum laude in violenza piuttosto che in dialogo e confronto democratico, sembra non essere esattamente un esempio di buona gestione. Piuttosto chiaro no, vero sindaco?
In conclusione, la vicenda del centro sociale Askatasuna ci regala un altro capitolo di quella commedia all’italiana in cui si mescolano politica, cultura e, perché no, un pizzico di ironia. Chissà, forse un giorno potremmo raccontare ai nostri nipoti la storia di come un centro sociale occupato sia diventato il simbolo della cultura cittadina, grazie a una mossa politica che nemmeno Machiavelli avrebbe potuto immaginare. E così, in un colpo solo, Torino diventa il set di una nuova serie Netflix: “La rivoluzione culturale di Askatasuna”.
E per finire, una pillola di Cultura, quella vera, grazie all’immancabile Wikipedia, che così recita: “Il CSOA Askatasuna, sito in Borgo Vanchiglia a Torino, è un edificio occupato da componenti dell’area dell’Autonomia Contropotere dal 1996. È teatro di numerosi eventi culturali e politici, dovuti alla militanza dei suoi occupanti. Il nome, che in basco significa “libertà”, sottolinea la sintonia con l’organizzazione armata basca Euskadi Ta Askatasuna. L’edificio di quattro piani fuori terra sito in corso Regina Margherita 47 è stato costruito nel 1880 ed era sede dell’Opera Pia Reynero, che raggruppava in una sola amministrazione ben sette Istituti di beneficenza, tra cui un Asilo lattanti, dove erano accolti bambini dall’età di pochi mesi fino a tre anni. Con Regio Decreto del 23 marzo 1924, n. 522, si stabilì la fusione dell’Asilo Reynero e dell’Associazione delle dame di carità di Santa Giulia in Vanchiglia in un unico ente denominato Opera Pia Reynero. L’edificio fu in seguito acquistato dal Comune. La struttura, con cortile in condivisione con l’adiacente asilo nido comunale, è stata abbandonata nel 1981 ed è stata occupata da una sessantina di militanti dell’area autonoma il 15 ottobre 1996, anche se i giornali ne diedero notizia solamente un mese dopo”.