In un’era dove la percezione pubblica è spesso scolpita tanto dalla lente della camera quanto dalla penna del giornalista, Mosca ha allestito un teatro di guerra dal vivo nel cuore della propria capitale. Non un campo di battaglia, ma una mostra, un’esposizione che, più che semplici trofei bellici, sembra voler essere un monito, un manifesto di potenza inviato direttamente ai palcoscenici globali. Nella scenografica cornice del Parco della Vittoria, sulla Collina degli Inchini, luogo sacro alla memoria dei trionfi russi su Napoleone e sul nazifascismo, il primo maggio si è aperto un capitolo che sembra ricalcare le pagine di una storia mai conclusa.
La scenografia del potere
Il parco, dominato dall’Arc de Triomphe à la Parisienne e circondato dalle quindici colonne di Putin — ciascuna simbolo degli storici fronti dell’Armata Rossa —, ora ospita qualcosa di diversamente evocativo: una quarantina tra blindati, droni e lanciarazzi, più le immancabili armi leggere, mappe militari e documenti, tutti trofei NATO conquistati in Ucraina. E in mezzo a queste macchine da guerra, alcune note: un carrarmato americano Abrams M1 con la corazza perforata, un Bradley inglese sventrato, un Leopard 1 e un Marder tedeschi danneggiati, un AMX-10RC francese bruciato.
I trofei di guerra e il messaggio al mondo
Questa mostra non è solo un’esposizione; è una dichiarazione di intenti, un avvertimento a chi, attraverso il mondo, sta inviando armamenti all’Ucraina. “Se voi mandate le vostre armi all’Ucraina, noi vi mostriamo che fine faranno”, pare essere il messaggio. Un’eco di quella stessa retorica che già Stalin utilizzava durante e dopo la Seconda guerra mondiale, esibendo i cannoni di Hitler distrutti. L’installazione bellica mira a riaffermare la resilienza e la superiorità militare russa in un contesto di crescente pressione internazionale.
Una risposta ai “valori occidentali”
La mostra, però, non è solo una vetrina di potenza militare, ma anche un palcoscenico propagandistico, come evidenziato dai commenti di Dmitry Peskov e Maria Zakharova. Il primo ha parlato di “una brillante idea” che mostra ai russi e ai visitatori internazionali la sorte delle armi nemiche, mentre Zakharova ha invitato i diplomatici occidentali a vedere di persona “come l’Occidente sta distruggendo la pace sul pianeta”. Queste dichiarazioni non sono solo retoriche bellicose; sono strumenti di una narrazione che cerca di contrapporre ai cosiddetti “valori occidentali” l’unica verità permessa dal Cremlino.
L’interesse e la reazione del pubblico
L’interesse per la mostra è palpabile. Le famiglie portano i bambini, che si arrampicano sui mezzi blindati, mentre gli adulti si cimentano in selfie bellicosi. Tuttavia, rimane oscuro chi, come e dove abbia recuperato queste carcasse di guerra. La risposta del pubblico, divisa tra nazionalismo e curiosità voyeuristica, riflette la complessità della società russa contemporanea, intrappolata tra il desiderio di pace e la retorica di un conflitto senza apparente fine.
Uno specchio storico o un presagio del futuro?
Questa mostra, oltre a essere un monito per l’Occidente e una conferma della narrativa di Putin, funge anche da specchio delle aspirazioni russe e della loro percezione del conflitto. È una rievocazione storica che si trasforma in un presagio del futuro, un avviso che le prossime parate del 9 maggio, giorno della vittoria nella Seconda guerra mondiale, potrebbero avere un tono molto diverso da quelle del passato. In definitiva, l’esibizione diventa un simbolo potente di come la storia sia sempre pronta a ripetersi, non solo nei libri di testo, ma nelle strade di Mosca, sotto gli occhi di un mondo che osserva, preoccupato e incerto sul da farsi.
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