Il profumo della colpevolezza
Non è forse un fato ironicamente crudele che un uomo la cui carriera politica è stata contrassegnata da profezie mancate, gestacci da ultrà e battute sarcastiche, oggi si trovi impigliato in una vicenda che riguarda niente meno che un flacone di profumo Chanel? Piero Fassino, ex sindaco di Torino e stimato deputato del Partito Democratico, è diventato protagonista di una trama che potrebbe tranquillamente figurare in una commedia nera di sofisticata eleganza, se non fosse per la sua inquietante realtà. Formalmente indagato dalla procura di Civitavecchia per tentato furto al duty free dell’aeroporto di Fiumicino, il caso Fassino sprigiona un aroma di scandalo che si diffonde ben oltre la semplice fragranza da lui presunta oggetto del desiderio.
L’intermezzo al duty free di Fiumicino
Immaginate la scena: un uomo pubblico, dal passato decorato, o perlomeno decoroso, e dal futuro ormai alquanto incerto, si aggira tra gli scaffali del duty free. Le telecamere lo catturano mentre, con un gesto furtivo degno di un novello Arsenio Lupin, s’infila in tasca un flacone di Chanel dal valore di 140 euro. La giustificazione? Aveva le mani impegnate, un alibi debole per chi è abituato a manovrare le redini del potere, non certo flaconi di eau de toilette.
L’episodio del 15 aprile non è però un caso isolato, se si crede alle testimonianze raccolte dalla Polaria e presentate al pm Alessandro Gentile. Altri due presunti furti dello stesso profumo, prima di Natale e il 27 marzo, dipingono un quadro di recidiva che non può essere ignorato. Così, tra deposizioni e video, si compone un puzzle di prove che sembrano lasciare poco spazio all’immaginazione e molto alla delusione.
La difesa e le procedure giudiziarie
Nel teatro giudiziario, il deputato Fassino è assistito dall’avvocato Fulvio Gianaria, il quale, pur non avendo ancora ricevuto gli atti, ha promesso una valutazione accurata delle mosse future. L’immunità parlamentare di Fassino potrebbe rappresentare un’ancora di salvezza giuridica, ma non certo morale. Il pm deve decidere se procedere con un interrogatorio di garanzia o, dati i contorni sfumati dell’evento, se archiviare il caso per “particolare tenuità del fatto”.
Le conseguenze politiche e sociali
Oltre al danno, la beffa. Fassino, già bersaglio in passato di aspre critiche per le sue dichiarazioni (ricordiamo il famoso “se Beppe Grillo vuole fondare un partito lo faccia, vediamo quanti voti prende”) o l’essere andato ben oltre le righe (ricordiamo – lui tifoso juventino sfegatato – l’altrettanto famoso dito medio alzato nei confronti dei tifosi del Torino), ora si trova a dover gestire una macchia indelebile sulla sua reputazione. L’episodio del profumo, se confermato, si presta a diventare metafora di una fragilità politica e personale che va oltre il semplice aneddoto. In un’epoca in cui l’immagine conta quanto (se non di più di) le azioni, un’accusa di furto, per quanto minore, rischia di erodere ulteriormente la fiducia degli elettori e dei colleghi.
Riflessioni di un profumo
Coco Chanel diceva che un profumo deve essere come un pugno, capace di lasciare un’impressione duratura. Ironia della sorte, il profumo che Fassino avrebbe tentato di sottrarre lascia un’impronta che va ben oltre il sensuale risveglio olfattivo. È un’impronta di dubbio, di tristezza per una carriera che forse si chiude con un atto finale non tra applausi, ma tra sospiri e mugugni.
In un’epoca che reclama trasparenza e integrità, anche il più piccolo degli scivoloni può rivelarsi fatale.
Fassino si trova ora nel mezzo di un tourbillon mediatico e giuridico, un vortice da cui è difficile uscire indenni. La lezione, forse crudele ma necessaria, è che nel mondo dello spettacolo politico, come in quello della profumeria, ciò che conta non è solo ciò che si vede, ma soprattutto ciò che si percepisce. Un duro colpo per un uomo che, forse imprudentemente, ha sottovalutato il potere evocativo di un semplice flacone di Chanel.
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