Oh, ironia della sorte! Domenico “Mimmo” Lucano, l’ex “sindaco dei migranti”, quell’eroe senza mantello che dal minuscolo scranno di Riace ha guardato al mondo, ha deciso di rimettersi in gioco. E non in un qualunque teatro di provincia, ma sul grande palcoscenico del Parlamento europeo. Ma non è finita qui: il nostro protagonista aspira anche a riconquistare la fascia tricolore di Riace, quella stessa fascia che gli è stata strappata via dalla “bufera giudiziaria” nel 2018.
L’ascesa di un “indipendente”
Lucano non sta più nella pelle. E chi lo farebbe, del resto? Dopo aver attraversato il deserto delle accuse legali — con una condanna ancora appesa al collo come un medaglione perlomeno scomodo — ecco che spunta un’opportunità d’oro. L’Alleanza Verdi Sinistra (AvS), vero e proprio “refugium peccatorum” specializzato nel tentare di riciclare personaggi dalla dubbia moralità, l’ha scelto come capolista nella circoscrizione Sud per le elezioni europee. “Indipendente” lui? Beh, quanto basta per non sporcarsi troppo le mani nella melma partitica, ma non abbastanza per rifiutare un’allettante poltrona a Strasburgo.
La kermesse di Riace
E quale scenario migliore per l’inizio di questa campagna elettorale se non Riace? Il “villaggio globale”, dove le case abbandonate sono state trasformate in un esperimento di accoglienza che ha fatto il giro del mondo. Qui, tra le viuzze che hanno ospitato storie di speranza e di nuovi inizi, Lucano e il suo entourage politico — con a capo Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana e Angelo Bonelli di Europa Verde — hanno dato il via al tour calabrese che toccherà anche Vibo Valentia e Corigliano Rossano.
Un “fuorilegge” con causa
Ma l’aura di Riace ha fatto effetto, perché Lucano, nel suo discorso di inaugurazione, si è autodefinito “fuorilegge”. Un termine che suona quasi romantico, se non fosse per quel retrogusto amaro di condanna giudiziaria che ancora gli si appiccica addosso. Fuorilegge, forse, nel senso di chi sfida le convenzioni, chi osa pensare oltre i confini tracciati dalla politica tradizionale. O forse solo nel senso di chi è stato messo fuori porta dalla legge per farvi trionfale ritorno dalla finestra.
L’appoggio che conta
E poi c’è Roberto Salis, padre di Ilaria, capolista nel Nord-Ovest. Il suo sostegno non è solo una formalità. È un ponte gettato tra nord e sud, un segnale che la candidatura di Lucano non è un capriccio isolato, ma parte di un disegno più ampio che cerca di ridisegnare le mappe dell’impegno civile e politico in Italia.
Cosa ci dice questo ritorno di Lucano?
Ci dice che nonostante le macchie nel curriculum, nonostante gli scandali e le condanne, c’è sempre una via di redenzione. O almeno di rivincita. Lucano non è solo un candidato. È un simbolo, un vessillo sotto cui raccogliere tutti coloro che vedono nella sua storia una parabola dell’ingiustizia e della resistenza. Contro ogni evidenza.
E mentre l’Europa guarda a questa piccola, grande (e assai triste) storia italiana, ci si chiede se Lucano riuscirà a trasformare le sue vicende personali in un racconto collettivo che possa valere una poltrona a Strasburgo. Sarà l’ennesima rivoluzione di Riace, stavolta non solo nei confini di un borgo, ma tra i corridoi dell’Unione Europea?