Liliana Segre. Un nome che evoca rispetto e compassione, una testimone vivente di uno dei periodi più bui della storia dell’umanità. Ma negli ultimi tempi, pare che la senatrice a vita stia vivendo un dramma tutto nuovo: la sindrome da accerchiamento. Sì, perché ormai sembra che ovunque si volti, ogni critica che riceve, ogni parola storta, sia interpretata come un attacco personale, un gesto di odio razziale e religioso. Non c’è dubbio, stiamo parlando di una vera e propria crociata contro i mulini a vento, con tanto di scudi e armature antisemite pronti a spuntare dietro ogni angolo.
Il caso Parodi: l’ultima goccia
Prendiamo il recente caso della scrittrice Cecilia Parodi, accusata di odio razziale e di istigazione a delinquere per aver espresso, con una certa disinvoltura, il suo “odio per tutti gli ebrei”. Certo, affermazioni di questo genere sono gravi e inaccettabili, ma viene da chiedersi: la reazione di Liliana Segre è proporzionata o stiamo assistendo a un’ulteriore conferma della sua sindrome da accerchiamento? La senatrice non ha esitato un attimo a denunciare Parodi, contribuendo così ad alimentare quella percezione di costante pericolo che sembra circondarla. D’altronde, basta una parola fuori posto e si scatenano tempeste mediatiche, indagini e condanne morali. Ma è davvero questo il modo migliore per combattere l’antisemitismo? O rischiamo di cadere nella trappola di chi vede razzismo ovunque, anche dove non c’è? (Secolo d’Italia)
La paranoia della memoria
Il problema con questa sindrome da accerchiamento non è tanto la sua esistenza, quanto il modo in cui viene utilizzata. Liliana Segre, con il suo passato e la sua esperienza, ha tutto il diritto di essere vigile, ma a un certo punto bisogna chiedersi: dove finisce la memoria e dove inizia la paranoia? Ogni critica, ogni dissenso, viene subito etichettato come razzista o antisemita. Persino chi solleva legittime questioni su temi di attualità rischia di essere tacciato di intolleranza. È come se la storia personale di Segre le conferisse un’immunità totale, un’infallibilità morale che nessuno può mettere in discussione senza essere immediatamente accusato di odio (Il Fatto Quotidiano).
La nuova caccia alle streghe
Siamo di fronte a una nuova caccia alle streghe, dove chiunque osi alzare la testa e dire “forse c’è un’altra interpretazione” viene immediatamente silenziato. Liliana Segre, nel suo tentativo di proteggere la memoria dell’Olocausto e di combattere l’antisemitismo, rischia di alimentare una narrazione vittimistica che non lascia spazio al dialogo. La sua lotta è giusta, ma i metodi sollevano dubbi. Difendere la memoria non dovrebbe significare demonizzare il presente, né dovrebbe servire a trasformare ogni parola fuori dal coro in un’offesa inaccettabile (Secolo d’Italia).
Il futuro della libertà di pensiero
In conclusione, la sindrome da accerchiamento che sembra affliggere Liliana Segre è un fenomeno complesso, che merita attenzione ma anche una certa dose di critica. In un mondo in cui la libertà di espressione è sempre più minacciata, dobbiamo stare attenti a non scivolare nell’eccesso opposto: quello di vedere nemici ovunque, di interpretare ogni dissenso come un attacco personale, di confondere la difesa della memoria con la censura del presente. Liliana Segre ha dato tanto a questo Paese, ma forse è giunto il momento di ricordare che la libertà di pensiero e di parola è un valore che va difeso anche da chi, pur con le migliori intenzioni, rischia di diventare il suo peggior nemico.