Scuola, abuso delle certificazioni DSA: la scorciatoia preferita dai genitori?
L’Italia è un paese meraviglioso dove tutti, ma proprio tutti, vogliono essere speciali. E se non lo sono? Beh, non c’è problema! C’è sempre una certificazione pronta a dimostrarlo. E qui parliamo delle certificazioni DSA, quelle miracolose diagnosi che trasformano studenti mediocri in casi clinici, garantendo loro una corsia preferenziale in una scuola che, altrimenti, li avrebbe visti arrancare tra una tabellina e un tema, se non proprio alla fine rimandati o peggio ancora bocciati.
Ma facciamo un passo indietro. Che cos’è esattamente il DSA? Disturbi Specifici dell’Apprendimento, per gli amici. Dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia: sono le quattro meraviglie che compongono il pacchetto. Ma attenzione! Non sono malattie, ma difficoltà. È importante sottolinearlo, perché qualcuno potrebbe fraintendere e pensare che, una volta ricevuta la diagnosi, sia necessario un intervento divino o almeno una pozione magica.
Ora, cosa accade quando un genitore si accorge che il suo pargolo non brilla in matematica? O che magari preferisce giocare alla PlayStation o ancora bivaccare sul divano piuttosto che leggere un libro? Semplice: corre dallo specialista. E qui entra in gioco il vero protagonista della nostra storia: il neuropsichiatra infantile o, ancora meglio, la famigerata “équipe certificatrice”. Un gruppo di esperti pronti a diagnosticare, con l’ausilio di test e colloqui, il tanto agognato DSA.
E qui viene il bello. Il numero di diagnosi DSA è triplicato negli ultimi dieci anni. Sì, avete capito bene, triplicato! Ora, qualcuno potrebbe pensare che i nostri ragazzi stiano vivendo una sorta di epidemia nascosta, una pandemia dell’apprendimento. Ma non temete, non è così. Il problema non è nei ragazzi, ma nella società che li circonda. Come sostiene Daniele Novara, pedagogista di spicco, si tratta di un eccesso diagnostico, un errore di prospettiva che fa più male che bene. Infatti, sebbene i dati medici indichino che il DSA colpisca tra l’1,5% e il 3% della popolazione, in Italia queste percentuali sono superate di quattro o cinque volte. Insomma, una vera e propria fiera della diagnosi.
Ora, chi c’è dietro tutto questo? Ovviamente, i genitori. Quegli stessi genitori che, forse per evitare di affrontare i veri problemi dei loro figli, preferiscono una scorciatoia. Ed ecco che il figlio fannullone diventa improvvisamente “dislessico”. Il ragazzo che non sa fare due più due? “Discalculico”, logico. E così, tra un PDP (Piano Didattico Personalizzato) e un altro, si finisce per livellare tutto verso il basso. Perché sì, il PDP è un bel modo per dire: “Facciamo finta che tu stia studiando, e promuoviamoti lo stesso”. La scuola, ormai impotente, accetta e si adatta. Del resto, cosa può fare? Opporsi a una diagnosi medica? Sarebbe come sfidare un dottore sul campo della medicina: semplicemente impossibile.
Ma torniamo ai genitori. Quelli che fanno la fila per ottenere la certificazione, quelli che diventano esperti di DSA da un giorno all’altro, pronti a discutere con insegnanti e dirigenti scolastici con la stessa sicurezza con cui difenderebbero la loro squadra di calcio del cuore. E non importa se il loro figlio, alla fine, non riesce a leggere correttamente o a scrivere senza fare errori. L’importante è che abbia quella certificazione, quella carta magica che lo protegge dalle fatiche del mondo reale.
E gli specialisti? Che ruolo giocano in tutto questo? Difficile dirlo. Certo, ci sono quelli seri, che lavorano con passione e dedizione. Ma ci sono anche quelli compiacenti, pronti a sottoscrivere una certificazione pur di accontentare il cliente di turno. Un cliente che, ricordiamolo, paga, e spesso anche bene. Dopotutto, la diagnosi DSA non è gratuita, e le équipe private non lavorano certo per beneficenza. E così, tra un test e l’altro, si finisce per certificare anche l’inverificabile. Con buona pace di chi, davvero, avrebbe bisogno di un sostegno adeguato e non di un’etichetta non solo inutile ma anche dannosa.
In tutto questo, chi ci rimette sono proprio quei ragazzi che, magari, avrebbero potuto fare di più con un po’ di impegno e disciplina. Ma che senso ha impegnarsi se basta una diagnosi per ottenere ciò che si vuole? Se i compiti diventano facoltativi, se gli esami possono essere fatti con più tempo, se la sufficienza è garantita? Ecco il vero danno delle certificazioni DSA: non è tanto l’abuso in sé, quanto il messaggio che passa. Un messaggio di deresponsabilizzazione, di rinuncia, di abbassamento degli standard. Un messaggio che dice: “Non ti preoccupare, ci pensiamo noi a farti passare”.
E così, mentre i genitori festeggiano per l’ennesima diagnosi ottenuta, mentre gli specialisti incassano le loro parcelle, mentre la scuola si arrende all’inevitabile, i ragazzi perdono. Perdono l’opportunità di crescere, di mettersi alla prova, di superare le difficoltà. Perché è questo che dovrebbero fare, no? Ma in un paese dove tutto è una corsia preferenziale, dove ogni problema ha una scorciatoia, chi ha il coraggio di dirlo?
E allora, cari genitori, prima di correre dallo specialista di turno, prima di cercare l’ennesima giustificazione, chiedetevi: è davvero questo che voglio per mio figlio? Un futuro fatto di scorciatoie e facilitazioni, o un percorso di crescita, anche se faticoso? La risposta, forse, non poi è così scontata come sembra.