In Italia, e in particolare nel Mezzogiorno, si è raggiunto un traguardo che nessuno avrebbe voluto festeggiare: il numero delle pensioni erogate supera quello degli stipendi pagati. Un dato che, a prima vista, può sembrare solo una curiosità statistica, ma che in realtà rivela dinamiche profonde e preoccupanti per il futuro dell’intero Paese.
Il Sud che paga più pensioni
Le province del Sud Italia sono le più colpite da questo squilibrio. Lecce, Napoli, Messina, Reggio Calabria e Palermo sono in testa alla classifica delle aree dove il numero di pensionati supera di gran lunga quello dei lavoratori attivi. Lecce, ad esempio, ha un saldo negativo di 97mila unità, mentre Napoli segue con un deficit di 92mila. Non si tratta solo di pensioni di vecchiaia: a pesare sono soprattutto i trattamenti assistenziali e di inabilità, sintomo di un sistema economico debole e di un mercato del lavoro che non riesce a tenere il passo con le necessità della popolazione.
Una questione nazionale
Ma il fenomeno non riguarda solo il Sud. Anche 11 province del Nord Italia, storicamente più produttive, stanno vivendo una situazione simile. La Liguria, ad esempio, con tutte e quattro le sue province, registra un saldo negativo, con Genova in testa (-20mila). La stessa situazione si ripete in alcune aree del Piemonte e del Veneto. Questo squilibrio, secondo le previsioni, è destinato a peggiorare nei prossimi anni, coinvolgendo anche le regioni più avanzate del Paese.
Le cause di uno squilibrio profondo
La spiegazione di questo fenomeno non si riduce a un solo fattore. È il risultato di un insieme di problematiche strutturali che affliggono l’Italia da decenni: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa e una diffusa economia sommersa. La combinazione di questi fattori ha portato a un calo progressivo dei contribuenti attivi e, di conseguenza, a un aumento dei percettori di welfare. Il risultato è un sistema sempre più sbilanciato, dove le pensioni pesano più delle buste paga.
Le conseguenze per il futuro
Se il trend non verrà invertito, l’Italia si troverà presto a dover affrontare problemi di sostenibilità economica. Con una popolazione sempre più anziana, aumenterà la spesa sanitaria e previdenziale, mentre le entrate fiscali potrebbero diminuire. La situazione potrebbe peggiorare ulteriormente entro il 2028, quando si prevede che 2,9 milioni di italiani usciranno dal mercato del lavoro, di cui 2,1 milioni solo nelle regioni centro-settentrionali. La sfida sarà trovare un modo per rimpiazzare questi lavoratori, in un contesto demografico e occupazionale già critico.
Milano e Roma, le eccezioni che confermano la regola
Non tutto il Paese è coinvolto in questa crisi. Alcune aree, come la Città Metropolitana di Milano e Roma, mostrano un saldo positivo tra occupati e pensionati, con differenze di +342mila e +326mila rispettivamente. Tuttavia, questi esempi virtuosi non bastano a compensare l’andamento generale, e rischiano di restare isolati in un contesto nazionale sempre più sbilanciato.
La sfida del futuro
La situazione richiede interventi urgenti e mirati. Aumentare l’occupazione, soprattutto tra giovani e donne, e far emergere il lavoro nero sono obiettivi imprescindibili per ridurre il divario tra pensioni e stipendi. Ma serve anche una visione di lungo termine per affrontare la crisi demografica e garantire la sostenibilità del sistema economico e previdenziale. Se non si interviene ora, il rischio è che lo squilibrio tra pensioni e stipendi diventi la norma in tutto il Paese, con conseguenze disastrose per le generazioni future.
Il futuro dell’Italia, insomma, si gioca sul filo sottile che separa l’attuale squilibrio dalla possibilità di una ripresa. E quel filo, oggi, appare sempre più fragile.
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