Siamo di fronte a uno scenario surreale: l’Italia che tenta di arginare il flusso migratorio mettendo in campo un accordo con l’Albania e le toghe rosse, per l’ennesima volta, bloccano tutto. Un intero piano di contenimento dei flussi migratori smantellato da una sentenza, lasciando il governo a mordere il freno mentre i soliti giudici si divertono a interpretare la Costituzione a modo loro. E intanto, i migranti tornano a riva come boomerang umani. Ma che bellezza!
Un altro capitolo della saga “Toghe contro governo”
Ancora una volta, come ormai da copione, la magistratura si mette di traverso. Ormai ci abbiamo fatto l’abitudine: qualsiasi tentativo del governo di fare ordine, di riportare un po’ di rigore nelle politiche migratorie, è puntualmente bloccato da queste sentenze che sembrano più editoriali che decreti di giustizia. Sì, perché la questione ormai non è nemmeno più legale, è politica. Perché ci ostiniamo a fingere che questi giudici stiano semplicemente “interpretando la legge”? No, qui si tratta di sabotaggio, di un’operazione di speronamento bella e buona.
E così, mentre il governo si scervella per trovare soluzioni, le toghe si divertono a interpretare sentenze a suon di colpi di teatro, senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze sulla sicurezza degli italiani. Un po’ come giocare a fare i rivoluzionari, solo che qui in gioco ci sono la stabilità e la sicurezza di un intero paese. Chi paga il conto? Sempre gli stessi, i cittadini italiani.
“Paesi sicuri”: oggi sì, domani no
Prendiamo l’ultimo caso che ha scatenato il putiferio: il tribunale di Roma che blocca il trasferimento dei migranti in Albania, nonostante il governo abbia stilato una lista dei cosiddetti “Paesi sicuri”. L’Albania, Paese sicuro? Ma certo! Lo dicono i trattati, lo dice il buon senso, lo dice perfino Bruxelles! Ma ecco le toghe rosse che, con l’arroganza di chi si considera l’oracolo della giustizia, ci dicono che, no, secondo loro l’Albania non è poi così sicura. E non importa se l’Italia ha già messo nero su bianco, non importa se l’accordo è già stato firmato e sigillato.
L’Albania è sicura o non è sicura? Le toghe, a quanto pare, sono convinte che lo sia solo quando conviene loro. E se è così, c’è da chiedersi cosa sarà sicuro domani: magari decideranno che non è sicura nemmeno Roma e che tutti i migranti hanno diritto a restare in Italia. Perché no? Un po’ di anarchia fa sempre bene, soprattutto se a pagarne il prezzo sono gli italiani.
Salvini e Tajani tuonano: “Ma chi decide, il governo o la magistratura?”
E allora non stupisce se i toni si alzano. Salvini, con la grinta di chi ne ha viste troppe, ci va giù pesante: “Un’altra sentenza politica contro gli italiani e la loro sicurezza”, commenta, con un sarcasmo che trapela in ogni parola. E Tajani? Mette il dito nella piaga: “La magistratura ha i suoi limiti e non può mettersi a decidere cosa è sicuro e cosa no. Non è competenza dei giudici stabilire se l’Albania sia un Paese sicuro. Il governo ha deciso, punto e basta”
Ma queste toghe rosse, evidentemente, non sono abituate a sentirsi dire di no. Pensano di poter imporre la propria visione ideologica sulle spalle degli italiani, e poco importa se questo significa smontare accordi diplomatici, ignorare trattati o persino umiliare il governo in carica. E non si tratta solo di una questione di potere: qui siamo di fronte a una magistratura che sembra convinta di poter “guidare” il Paese. Altro che indipendenza dei poteri: siamo in pieno conflitto di interessi.
La minaccia di Borghi: “Portiamoli a casa del giudice!”
La frustrazione nel centrodestra è palpabile, e non sono poche le voci che chiedono una svolta drastica. Claudio Borghi, senatore della Lega, non usa mezzi termini, arriva a proporre di portare i migranti direttamente a casa del giudice che ha bloccato l’accordo. Certo, è una provocazione, ma rende l’idea del livello di esasperazione raggiunto. E ha pure ragione: perché non provare a vedere se il giudice cambierebbe idea? Forse accoglierebbe i migranti a braccia aperte, con tanto di invito a cena. Ma siamo sicuri che non cambierebbe presto idea?
Le toghe rosse sembrano vivere in una torre d’avorio, protette da muri ideologici che impediscono loro di vedere la realtà. Sono i sacerdoti di una religione che non conosce crisi, quella dell’accoglienza a tutti i costi – alla Boldrini-Lucano, tanto per intenderci – e non importa se questo significa scaricare sull’Italia un peso insostenibile. Siamo davvero sicuri che questo sia il concetto di giustizia che vogliamo per il nostro paese?
I fatti eversivi? una Capitol Hill al contrario!
Maurizio Gasparri ha usato una metafora suggestiva, chiamando questa interferenza della magistratura “una Capitol Hill al contrario”. È così lontano dalla verità? Negli Stati Uniti, quel giorno, una folla arrabbiata ha assaltato il simbolo della democrazia americana. Qui, invece, sono le toghe a “occupare” i poteri dello Stato, a piegarli alla propria visione. Chi sta attaccando chi? Chi si sta ergendo al di sopra del governo democraticamente eletto?
Si tratta di una distorsione che, purtroppo, sembra diventata la norma. Perché la giustizia dovrebbe occuparsi di difendere i diritti e applicare la legge, non di fare politica e influenzare le decisioni del governo. Eppure, eccoci qui, con i giudici che si ergono a paladini dei migranti, che decidono chi deve restare e chi deve partire, ignorando completamente il volere dei cittadini e le leggi dello Stato.
La sentenza “pro-cooperative” e il business dell’accoglienza
Matteo Salvini ha centrato un punto fondamentale, ricordando che il sistema dell’accoglienza costa al nostro paese ben 2 miliardi di euro l’anno. E non è un caso che le toghe sembrino così zelanti nel bloccare ogni tentativo di regolamentare i flussi. Non è che, per caso, quelle sentenze servono anche a mantenere il business delle cooperative rosse, che con i migranti ci campano? Sì, è una domanda provocatoria, ma chi non se la pone? Vero Mimmo Lucano?
Ci sono soldi, tanti soldi, in gioco. E ci sono cooperative che con l’accoglienza hanno costruito un impero, un business miliardario che sembra non avere mai fine. E ogni volta che qualcuno prova a porre un freno, ecco arrivare le sentenze a fermare tutto, come se fosse un’operazione di protezione del “business” più che una questione di diritti.
Il grande sabotaggio delle toghe
In tutto questo, cosa resta da dire? Che siamo di fronte a un vero e proprio sabotaggio. La magistratura, o meglio, una parte della magistratura, sembra aver deciso di trasformarsi in una forza politica, di farsi portavoce di una visione ideologica che non ha nulla a che vedere con la giustizia. E mentre il governo cerca di riportare l’ordine e la sicurezza in un paese sempre più fragile, le toghe rosse rispondono con sentenze che sembrano scritte apposta per boicottare ogni sforzo.
E alla fine, a pagarne il prezzo siamo noi, i cittadini italiani. Siamo noi che vediamo i nostri confini diventare passaggi aperti per chiunque voglia entrare, noi che paghiamo con i nostri soldi il business dell’accoglienza, noi che ogni giorno rischiamo la nostra sicurezza a causa di un sistema che, anziché difenderci, ci espone al pericolo. Questa non è giustizia. Questa è politica, e della peggiore.
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