Dal Burevestnik russo al Sentinel americano, dal DF-41 cinese agli Hwasong nordcoreani, fino ai Jericho israeliani: il pianeta è tornato a vivere all’ombra dei missili intercontinentali. Armi concepite non solo per colpire, ma per spaventare. La nuova corsa atomica è iniziata, e questa volta nessuno può fingere di non vederla.
Il ritorno dei missili “illimitati”
Ci sono armi che non chiedono permesso prima di cambiare l’equilibrio del mondo: i missili a lunga gittata, progettati non solo per colpire lontano, ma per portare testate nucleari multiple, camuffate o ipersoniche.
La Russia è in prima linea con i suoi nuovi progetti: tra questi spicca il Burevestnik, il missile da crociera a propulsione nucleare, che secondo Mosca sarebbe capace di volare per giorni interi e colpire da qualsiasi direzione, aggirando ogni difesa.
Un’arma definita “infinita” perché, se davvero operativa, annullerebbe il concetto di raggio d’azione. Gli analisti occidentali ne mettono in dubbio la piena efficacia, ma il messaggio politico è chiaro: la Russia vuole dimostrare di possedere armi in grado di tenere in scacco l’intero pianeta.
Sarmat, il “re dei missili”
Il Sarmat (nome NATO: Satan II) è il nuovo fiore all’occhiello dell’arsenale russo. È un ICBM “super-pesante”, in grado di trasportare fino a 15 testate nucleari indipendenti (MIRV), ciascuna capace di colpire bersagli diversi.
La sua gittata stimata supera i 18.000 chilometri, e può viaggiare a oltre 20.000 km/h, rendendo praticamente inutile qualsiasi scudo antimissile.
Il Sarmat può inoltre ospitare veicoli ipersonici Avangard, manovrabili in volo e quindi quasi impossibili da intercettare.
È, a tutti gli effetti, il più potente missile intercontinentale mai costruito, e rappresenta la punta di diamante della deterrenza russa.
Il braccio lungo di Washington
Gli americani non fanno proclami roboanti come Mosca o video celebrativi come Pyongyang, ma il loro arsenale resta il più avanzato e meglio integrato al mondo.
Il cuore della loro deterrenza si basa sui missili intercontinentali a terra LGM-30G Minuteman III, in servizio dagli anni Settanta ma aggiornati senza sosta, capaci di oltre 13.000 chilometri di gittata e pronti a rilasciare testate nucleari MIRV – anche se oggi impiegati in configurazione a singola testata per motivi strategici e di trattati.
Questi “vecchi leoni” stanno per essere sostituiti dal nuovo LGM-35A Sentinel, progettato per garantire affidabilità, rapidità di lancio e resistenza ai cyber-attacchi. È il più grande programma missilistico americano degli ultimi 50 anni, segno che gli Stati Uniti non intendono lasciare a Russia e Cina il monopolio dell’innovazione nucleare.
E poi c’è la dimensione navale: i Trident II D5, i missili lanciati dai sottomarini classe Ohio e presto dalla classe Columbia. Sono l’incubo di qualsiasi stratega nemico: arma invisibile, piattaforma mobile, precisione chirurgica e capacità di secondo colpo garantita.
Infine, la nuova frontiera: gli armamenti ipersonici americani, sviluppati in silenzio, come l’ARRW (Air-Launched Rapid Response Weapon), studiato per volare oltre Mach 5 e colpire con velocità devastante.
Gli Stati Uniti, quando tacciono, di solito stanno preparando qualcosa.
Insomma, l’America resta la potenza con la triade nucleare più completa al mondo – missili terrestri, sottomarini e bombardieri – e quindi l’unica in grado di rispondere a un attacco atomico con forza soverchiante, secondo il principio della Mutual Assured Destruction: “distruzione reciproca assicurata”.
Un equilibrio del terrore che, paradossalmente, ha garantito la pace per oltre settant’anni.
La risposta cinese: il DF-41
La Cina non è rimasta a guardare. Il suo DF-41 è un missile intercontinentale a combustibile solido, mobile su camion e capace di trasportare fino a dieci testate nucleari MIRV.
La gittata supera i 14.000 chilometri, il che significa che può colpire qualsiasi punto degli Stati Uniti.
La mobilità lo rende difficilmente tracciabile e quindi più pericoloso: può essere spostato su strada o su rotaia, lanciato in pochi minuti, e sparire di nuovo nel territorio cinese.
In altre parole, una minaccia invisibile e immediata, che consolida la Cina come terza superpotenza nucleare del pianeta.
Corea del Nord: l’outsider che fa paura
Sotto sanzioni, isolata, ma determinata: la Corea del Nord non smette di sorprendere.
Con i suoi missili Hwasong-17 e Hwasong-18, Pyongyang sostiene di aver raggiunto la capacità di colpire direttamente Washington.
Il nuovo Hwasong-18 utilizza per la prima volta un motore a combustibile solido, che consente tempi di lancio rapidissimi e maggiore stabilità.
Anche se le prove non sono sempre verificabili, il messaggio di Kim Jong-un è inequivocabile: “siamo in grado di rispondere a un attacco nucleare con un altro attacco nucleare”.
Una formula semplice, brutale e terribilmente efficace per assicurarsi l’attenzione del mondo.
Israele, Iran e Pakistan: i sorvegliati speciali
In Medio Oriente la deterrenza si gioca nel silenzio. Israele non ha mai confermato ufficialmente di possedere armi nucleari, ma il missile Jericho III — capace di una gittata stimata tra i 4.800 e gli 11.000 km — lascia pochi dubbi.
È il pilastro della difesa israeliana, pensato per garantire la capacità di “secondo colpo” anche dopo un eventuale attacco a sorpresa.
L’Iran, dal canto suo, lavora su vettori sempre più lunghi, come il Khorramshahr, con autonomia fino a 2.000 km e potenziale capacità di trasporto nucleare.
Il Pakistan, infine, dispone di una gamma di missili a lungo raggio, tra cui lo Shaheen-III, in grado di raggiungere tutto il territorio indiano, completando così il suo equilibrio di terrore con New Delhi.
Tutti questi Paesi, pur non appartenendo al “club” delle superpotenze, detengono leve strategiche in grado di condizionare l’equilibrio mondiale.
Il rischio dei test e la nuova corsa agli armamenti
Ogni test missilistico non è solo un esercizio tecnico, ma un messaggio politico, spesso più potente dell’arma stessa.
Quando la Russia testa un Sarmat o la Corea del Nord lancia un Hwasong, il mondo trattiene il fiato. Non per il pericolo immediato, ma perché ogni lancio con successo sposta gli equilibri globali.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, stanno modernizzando i propri arsenali, riattivando la logica della deterrenza simmetrica che sembrava sepolta con la Guerra Fredda.
Il risultato? Una nuova corsa agli armamenti nucleari, in un contesto molto più instabile del passato.
Le tecnologie si moltiplicano, le difese diventano più complesse, e le diplomazie più fragili.
Il rischio, oggi come ieri, è che basti un errore di calcolo per trasformare un test in una catastrofe globale.
Armi di deterrenza o follia programmata?
Dietro la facciata della sicurezza nazionale, c’è la verità cruda: più armi di distruzione si accumulano, più il mondo diventa fragile.
I missili a lunga gittata non sono “strumenti di difesa”, ma strumenti di paura, costruiti per far sì che nessuno osi mai usarli.
Eppure, nella storia, ciò che si costruisce prima o poi si prova.
I test non sono che prove generali di ciò che potrebbe accadere se la ragione cedesse alla follia.

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