C’è un Paese che, dopo anni di sperimentazioni ideologiche e promesse mancate, ha deciso di rimettere i piedi per terra. Il Cile. Con quasi il 60% dei voti, José Antonio Kast è stato eletto presidente, lasciando alla candidata ufficialista Ordine
poco più del 40%. Un distacco netto, inequivocabile, che racconta molto più di una semplice alternanza politica. Racconta una domanda di ordine, sicurezza e serietà che la sinistra non ha saputo – o voluto – ascoltare.
Kast entrerà ufficialmente in carica l’11 marzo 2026, ma il suo messaggio è già arrivato forte e chiaro: il Cile vuole voltare pagina. E non per capriccio, bensì per necessità.
Un uomo controcorrente
José Antonio Kast non è un prodotto da laboratorio politico. Avvocato, 59 anni, cattolico, sposato e padre di nove figli, viene da una famiglia di origine tedesca e si è formato all’Università Cattolica di Santiago. Un dettaglio, quest’ultimo, che non è secondario: nel suo percorso personale e politico la fede e la famiglia non sono slogan, ma struttura portante.
Dopo quattro legislature come deputato nell’UDI, Kast ha lasciato il partito nel 2016, quando ha capito che il centrodestra cileno stava diventando sempre più timido e sempre meno riconoscibile. Nel 2019 ha fondato il Partito Repubblicano, una formazione apertamente conservatrice, senza complessi e senza il bisogno di chiedere scusa per difendere valori che per decenni hanno tenuto in piedi il Paese.
La sua vittoria rappresenta la prima volta che questo partito arriva al governo, ed è per questo un evento storico.
Sicurezza, prima di tutto
Non servono giri di parole. Il Cile di oggi è un Paese nettamente più insicuro rispetto a dieci anni fa. Gli omicidi sono raddoppiati, reati come sequestro ed estorsione – un tempo quasi sconosciuti – sono diventati tristemente comuni, e la presenza di gruppi criminali transnazionali ha cambiato il volto delle città.
Kast ha avuto il merito di dire ciò che molti pensano e pochi osano affermare: senza ordine non c’è libertà. Ha promesso un rafforzamento deciso delle forze dell’ordine, il recupero del controllo territoriale e una linea dura contro la criminalità organizzata. Non è autoritarismo, è semplice buon senso. Perché uno Stato che non garantisce la sicurezza dei suoi cittadini ha già fallito.
Confini e immigrazione: basta ipocrisie
Altro tema centrale è stato quello migratorio. Kast ha parlato chiaro: chi entra illegalmente nel Paese non può pretendere di restarci. Da qui la proposta di chiudere la frontiera settentrionale, in particolare con la Bolivia, e di procedere all’espulsione di centinaia di migliaia di immigrati irregolari.
Una posizione che la sinistra definisce “dura”, ma che milioni di cileni giudicano semplicemente giusta. Perché l’accoglienza indiscriminata, come dimostrano i fatti, non produce integrazione bensì marginalità, tensioni sociali e nuova criminalità. Kast non demonizza nessuno, ma rimette al centro un principio elementare: le regole valgono per tutti.
Economia reale, non favole ideologiche
Sul fronte economico, Kast ha intercettato un’altra grande paura dei cileni: il declino. L’economia rallenta, gli investimenti fuggono, la fiducia cala. Eppure, contrariamente alla caricatura che ne fanno i suoi avversari, non ha promesso di smantellare le tutele dei lavoratori.
Durante la campagna elettorale ha chiarito che non toccherà la legge sulle 40 ore settimanali né gli aumenti del salario minimo. Il suo obiettivo non è togliere, ma far ripartire il motore: meno burocrazia, più libertà d’impresa, uno Stato che smetta di soffocare chi produce ricchezza.
Il voto come atto di ribellione
Il successo di Kast non nasce nel vuoto. Nasce da un malcontento profondo, misurabile e documentato. Secondo i sondaggi, la sicurezza è diventata la prima preoccupazione nazionale, seguita da economia e immigrazione. Non clima, non gender, non le infinite battaglie simboliche tanto care ai progressisti.
Il popolo cileno ha fatto una scelta concreta, non ideologica. Ha detto basta a governi che parlano molto e risolvono poco. Ha scelto chi promette meno, ma promette cose comprensibili e verificabili.
Nuove alleanze, più realismo
Sul piano internazionale, Kast ha già indicato una linea di pragmatismo e affinità politica. Il rapporto con l’Argentina di Javier Milei è emblematico. Non solo buoni rapporti personali – Milei lo ha chiamato definendolo “amico” – ma una convergenza di visione su economia, sovranità e sicurezza.
Cile e Argentina condividono una delle frontiere più lunghe del mondo, oltre a interessi vitali su commercio, trasporti ed energia. Rafforzare questo asse significa stabilità regionale, non isolamento.
Allo stesso tempo, la vittoria di Kast segnala un possibile ritorno a rapporti più prevedibili e occidentali con Washington e i partner tradizionali, dopo anni di ambiguità e frizioni alimentate da agende ideologiche.
Una svolta che parla a tutta l’America Latina
Il trionfo di Kast non è un episodio isolato. È parte di una tendenza più ampia. In America Latina cresce la richiesta di leadership forti, identitarie, non vergognose di difendere la nazione, la famiglia e la legge. Dopo l’ubriacatura progressista, molti Paesi stanno facendo i conti con i risultati: insicurezza, povertà, divisioni.
Nel suo primo discorso da presidente eletto, Kast ha parlato di unità nazionale, di rispetto reciproco e di un governo per tutti, non solo per chi lo ha votato. Parole che non cancellano le differenze, ma indicano una direzione: ricostruire su basi solide, non su slogan.
Il Cile, oggi, non cambia solo governo. Cambia bussola. E lo fa guardando al futuro con un piede ben piantato nella realtà e l’altro nella propria tradizione. Una lezione che, forse, anche altrove qualcuno dovrebbe iniziare a studiare.

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