In un mondo sempre più connesso, dove i like sono la nuova valuta e i selfie sono il pane quotidiano, emerge una nuova malattia sociale: l'”Influencerite”. Questa patologia, ancora non riconosciuta ufficialmente dal DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), affligge milioni di utenti, trasformando la normale ammirazione per gli influencer in una dipendenza compulsiva.
I sintomi includono un’ossessione per le vite apparentemente perfette degli influencer, una compulsione a replicare ogni loro movimento e una dipendenza da approvazione virtuale. Le vittime sono spesso rintracciate immobili davanti ai loro dispositivi, con lo sguardo vitreo e il dito costantemente pronto a scorrere verso l’alto.
La diffusione di questa patologia è stata accelerata dall’avvento dei social media. Piattaforme come Instagram, TikTok e YouTube sono diventate le nuove “arene di gladiatori”, dove gli influencer combattono per la supremazia del più alto numero di follower e like, mentre il pubblico, ipnotizzato, segue ogni loro mossa.
Gli esperti sono divisi sull’approccio da adottare per affrontare l’Influencerite. Alcuni suggeriscono terapie di gruppo, dove le persone possono condividere le loro esperienze e imparare a ridurre la dipendenza dai social. Altri propongono un “detox digitale”, un periodo di astinenza da social media per riabilitare i neuroni sovraccaricati.
Ma forse, la soluzione più efficace è la consapevolezza. È importante ricordare che dietro ogni foto filtrata e ogni video editato, c’è una realtà molto meno lucida e perfetta. Gli influencer, come tutti noi, hanno i loro difetti e insicurezze, tra cui una vera e propria bulimia da denaro facile. Riconoscere questo può essere il primo passo per liberarsi dalla morsa dell’Influencerite.
In conclusione, mentre il mondo cerca una cura per questa pandemia sociale, ricordiamoci di guardare oltre lo schermo e apprezzare la bellezza imperfetta della realtà. Dopotutto, la vita non è un feed di Instagram, e questo è ciò che la rende così meravigliosamente unica.
