Una rivoluzione culturale o la capitale del paradosso?
Eccoci qui, signore e signori, davanti a un evento storico che rischia di essere ricordato più per la sua gravità che per la sua presunta grandezza: l’approvazione, con un’entusiasmante (per alcuni) larghissima maggioranza da parte del parlamento francese, della norma che incide profondamente nella Costituzione francese il diritto all’aborto, trasformandolo da diritto discutibile a totem indiscutibile della modernità.
Non si tratta più di una questione di depenalizzazione o di mera concessione legale; no, signori, siamo andati ben oltre. L’aborto viene ora presentato come una “libertà” inalienabile della donna, un diritto fondamentale che nessuna legge ordinaria potrà mai osare sfidare. Una mossa audace, un colpo di spada nella roccia della democrazia liberale occidentale, con la Francia di Macron che si erge a paladina di un progressismo tanto aggressivo quanto acriticamente acclamato.
Una Costituzione in bilico tra progresso e regresso
Ma analizziamo da vicino questa scelta, questa presunta “libertà” che viene garantita a discapito di qualsiasi limitazione o contestazione. Ecco che il diritto all’aborto si trasforma in un monolite impenetrabile, un autentico dogma progressista che relega al silenzio secolari dibattiti etici, morali e religiosi. La demonizzazione di chi osa esprimere dubbi o perplessità su tale dogma diventa la prassi, in un’estremizzazione woke che non lascia spazio al dialogo, ma solo al dito puntato contro chi viene etichettato come retrivo, sessista, o addirittura “medioevale”.
Ma, d’altronde, cosa ci si potrebbe aspettare in un’epoca in cui l’emancipazione femminile sembra potersi affermare solo calpestando la vita nascente, e dove la complessità del dibattito sull’aborto viene appiattita su un assurdo binarismo? L’aborto diventa così sinonimo di libertà, un’icona scintillante di progresso che non ammette ombre, dimenticando che, in fondo, si sta parlando della vita.
Un’evoluzione o una devoluzione dei diritti?
Guardando indietro ai tormentati dibattiti che hanno portato alla legalizzazione dell’aborto in molti paesi occidentali, ci si rende conto di quanto il panorama attuale sia radicalmente cambiato. Le leggi di un tempo, pur con tutte le loro limitazioni, cercavano un bilanciamento tra diritti e doveri, tra la libertà della donna e la tutela della vita nascente. Ora, sembra che qualsiasi tentativo di mediazione sia stato spazzato via da un relativismo sfrenato che riconosce come unico arbitro del dibattito la volontà della donna, relegando il concepito a mero ostacolo.
Questo cambiamento testimonia non solo una trasformazione nel modo di intendere i diritti e le libertà, ma anche un profondo mutamento socio-culturale, con il declino dei legami familiari e il crollo delle nascite che segnano l’epoca contemporanea. In questo contesto, l’assolutizzazione del diritto all’aborto sembra più una manifestazione di una pulsione autodistruttiva che un progresso civile.
La Francia e il nuovo dogma costituzionale
E così, la Francia si pone all’avanguardia di questa corsa verso l’assolutizzazione del diritto all’aborto, in una mossa che più che di progresso sembra parlare di regressione. E sebbene l’eco di tale decisione possa risuonare come un trionfo per alcuni, non si può ignorare il profondo paradosso che essa rappresenta: elevarsi a paladini della libertà, mentre si sancisce nella pietra della Costituzione il diritto alla soppressione della vita.
Questa scelta, fortemente voluta e promossa da Macron, non fa che riflettere la crescente distanza tra la concezione dei diritti umani nella tradizione anglosassone e quella continentale, dove la libertà individuale viene sempre più spesso subordinata alla sovranità dello Stato. E se la Francia oggi celebra questa decisione con grande solennità, non possiamo fare a meno di chiederci quali saranno le conseguenze di lungo termine di questa nuova definizione di libertà e diritto.
Un dibattito che non può e non deve tacere
Il dibattito sull’aborto, per quanto complesso e divisivo, merita di essere affrontato con la profondità e il rispetto che comporta. Non si tratta di negare i diritti o la libertà delle donne, ma di riconoscere che la questione tocca aspetti fondamentali dell’esistenza umana che non possono essere ridotti a slogan o bandiere politiche.
La decisione della Francia di elevare l’aborto a diritto costituzionale rappresenta un momento di svolta, che segna non solo un cambiamento nella legislazione ma anche un profondo mutamento culturale. Resta da vedere se questo sarà ricordato come un passo avanti verso una maggiore libertà o se, al contrario, ci si renderà conto troppo tardi del prezzo pagato in termini di valori umani fondamentali sacrificati sull’altare di un progressismo mal interpretato.
In questo scenario, il compito di chi ancora crede nel valore della vita e nel diritto al dibattito, al confronto, e alla riflessione, diventa ancora più cruciale. Non si tratta di arrendersi di fronte all’onda montante del relativismo e dell’individualismo, ma di riaffermare con coraggio l’importanza di una visione dei diritti umani che non dimentichi nessuno, neanche i più piccoli e indifesi.
La Francia ha scelto la sua strada, ma il dialogo sul significato profondo della libertà, del diritto e della vita deve continuare, più forte e determinato che mai. Perché alla fine, la vera questione non è solo se l’aborto sia legale o meno, ma quale tipo di società vogliamo costruire e quali valori vogliamo che la guidino. E in questo dibattito, nessuna voce dovrebbe essere silenziata.
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