La nostra società adora un bel manifesto, specie se suona politicamente corretto. Ci piace appenderci etichette, marciare suonando la tromba della morale, sventolando le bandiere dell’ideologia. E così, tra chi si sveglia antifascista e chi va a letto sognando antifascismi, Filippo Facci, giornalista noto per non mandarle a dire, ci propone una visione alternativa, una sorta di manuale per non sentirsi in dovere di dichiararsi antifascista. Diamo un’occhiata con occhio critico a queste sette regole “rivoluzionarie”.
1 – Storicizzare il fascismo senza imitarlo
Facci parte subito con una frecciata: il fascismo è storia, è un manuale su “come non fare”, mentre l’antifascismo? Una moda del momento, quasi un accessorio di tendenza tra le fila di chi cerca di dare un senso alla propria militanza. Se dici di essere fascista oggi, probabilmente ti manca un tassello importante nella comprensione della storia moderna. Ma attenzione, dice Facci, dichiararsi antifascista oggi è quasi come indossare un badge al party giusto: ti apre le porte, ma non sempre significa che tu capisca cosa c’è dietro la porta che stai aprendo.
2 – L’antifascismo non è legge, è una scelta
Qui Facci tocca un punto dolente. La nostra amata Costituzione bandisce il fascismo, ma di antifascismo permanente non parla. Questo è un punto critico perché molti vedono l’antifascismo come un’attività quasi investigativa: chi è il più antifascista del reame? Il pericolo è trasformare l’antifascismo in uno sport, dove si contano i punti su chi denigra più efficacemente il prossimo per non essere sufficientemente “puro”.
3 – La strumentalizzazione politica
Secondo Facci, l’antifascismo è diventato uno strumento politico, non troppo diverso da altre etichette come “antisessismo” o “femminismo”. Tutte espressioni importanti, ma a volte usate più per segnare punti nella partita politica che per promuovere un reale cambiamento sociale. L’antifascismo, quindi, diventa una sorta di chiave magica che apre certe porte e chiude altre, spesso senza un reale legame con le azioni o le politiche sostenute.
4 – Un termine vuoto?
Facci porta avanti il pensiero di Massimo Cacciari, sostenendo che “antifascista” è un termine così diluito da perdere di significato, come un vecchio jeans lavato troppe volte. È diventato un’ovvietà, quasi come dire “sono contro il male”. Ma in un mondo dove le vere battaglie sono spesso economiche e digitali, quanto spazio rimane per un antifascismo che sembra più rivolto al passato che al futuro?
5 – Le colpe del passato e le contraddizioni del presente
Una critica feroce di Facci va verso chi chiede costantemente di ripudiare il fascismo a chi, come Fratelli d’Italia, si è già espresso chiaramente in passato. Allo stesso tempo, sottolinea come alcune delle voci più forti contro il fascismo abbiano un passato (o un presente) di supporto a politiche estremamente discutibili. Questo, afferma, mostra una certa ipocrisia e una mancanza di coerenza storica e politica.
6 – Il fascismo nel Parlamento di oggi
Facci ci ricorda che i partiti che oggi siedono in parlamento e che sono etichettati come “di destra” hanno già fatto i conti con il loro passato, a partire dal famoso congresso di Fiuggi. Quindi, continuare a chiedere conti su un passato tanto distante sembra un po’ un teatro politico più che un’azione concreta.
7 – La saggia ignoranza degli elettori?
Ultimo ma non meno importante, Facci ci lancia un’ultima frecciatina: gli italiani, suggerisce, hanno una comprensione storica del fascismo ben più matura di quanto alcuni antifascisti vorrebbero ammettere. In altre parole, suggerisce che gli elettori non sono così ingenui come alcuni politici sperano.
Mentre Facci ci consegna queste perle di saggezza provocatoria, non possiamo fare a meno di chiederci: è realmente necessario andare a braccetto con l’ANPI ogni 25 aprile per dimostrare di essere dalla “parte giusta” della storia? Oppure possiamo, come suggerisce Facci, prendere atto che la storia è stata scritta, le lezioni apprese, e che magari è tempo di affrontare i problemi del presente con un nuovo vocabolario?
Ecco, l’articolo originale di Filippo Facci, pubblicato ieri su il Giornale.
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