C’è un momento preciso in cui il dissenso smette di essere tale e diventa qualcos’altro. Un momento in cui le parole non servono più a criticare, ma a colpire. In Italia quel momento, oggi, ha un nome scritto con la vernice sui muri: “Spara a Giorgia”. Non è uno slogan. Non è satira. Non è nemmeno rabbia sociale fuori controllo. È un invito esplicito alla violenza, pronunciato nello spazio pubblico, contro il capo del governo della Repubblica.
Non nasce dal nulla. È il frutto maturo di anni di demonizzazione, di un linguaggio politico che ha progressivamente disumanizzato l’avversario, trasformandolo prima in nemico, poi in pericolo, infine in bersaglio. Quando si arriva a evocare le Brigate Rosse, a rispolverare simboli di piombo e sangue, significa che qualcuno sta giocando con il fuoco della storia, convinto che questa volta non brucerà.
Questo articolo non parla di Giorgia Meloni in quanto leader di una parte. Parla di un limite superato, di una deriva culturale e morale che riguarda tutti, anche – e soprattutto – chi finge di non vedere o minimizza. Perché l’odio politico, quando viene tollerato, non si ferma mai dove nasce. E alla fine presenta sempre il conto.
Dalle contestazioni alle minacce: la linea rossa è stata superata
C’è una differenza gigantesca – morale prima ancora che giuridica – tra contestare un governo e augurare la morte a chi lo guida. Eppure, in queste settimane quella soglia è stata scavalcata con una disinvoltura inquietante, come se la politica fosse diventata uno stadio senza arbitro, dove il coro più feroce non solo è tollerato, ma quasi “capito”, giustificato, accarezzato dai soliti equilibrismi.
La scritta “Spara a Giorgia”, comparsa a Marina di Pietrasanta (7 dicembre 2025), poi a Busto Arsizio sulla sede della Lega (15 dicembre 2025) e, per “par condicio”, nei pressi del quartier generale del PD (17 dicembre 2025), non è una “ragazzata”. È una minaccia di morte che richiama esplicitamente – con stella a cinque punte e sigla “BR” – un immaginario che l’Italia conosce fin troppo bene. Sul caso indagano le forze dell’ordine, con intervento della Digos.
E non è nemmeno un episodio isolato. Nell’aprile 2025, a Milano, durante una manifestazione, la stessa scritta è finita al centro di un fascicolo d’indagine per l’ipotesi di “violenza o minaccia a un Corpo politico”.
Il ritorno delle sigle e la nostalgia criminale
Chi imbratta un muro con “BR” non sta facendo l’artista di strada: sta facendo il mimo del terrorista. Magari è un mitomane, magari è “solo” un provocatore, magari è uno che cerca like in una bolla tossica. Ma il punto non cambia: quel linguaggio è benzina, e la benzina, prima o poi, cerca una scintilla.
Lo Stato, giustamente, non può ragionare “a sensazione”: deve accertare, qualificare, perseguire. Ma la società non può cavarsela con la pacca sulla spalla al “clima”. Perché qui non siamo davanti a un insulto: siamo davanti a una frase che, nella sostanza, suona come istigazione alla violenza e intimidazione verso un’istituzione. Non è un’opinione: è un passo verso l’abisso.
Non è satira, non è dissenso: è intimidazione
Siamo diventati così assuefatti all’odio da non riconoscerlo più quando cambia velocità. Prima la delegittimazione personale (“sei un mostro”, “hai le mani sporche di sangue”), poi l’ossessione (“sei il male assoluto”), infine il salto: “ti si deve fermare”, che è la rampa di lancio di ogni violenza politica.
La premier stessa, negli ultimi mesi, ha parlato pubblicamente di minacce ricorrenti e di un “clima” che si imbarbarisce. Si può discutere su tutto, anche su toni e comunicazione. Ma il fatto resta: le minacce non sono un argomento, sono un reato e un segnale di degrado civile.
La legge c’è. Il coraggio, spesso, manca
Qui il punto vero è un altro: l’Italia non soffre perché non ha norme, soffre perché troppe volte si fa finta di non vedere la catena che porta dalle parole ai fatti.
Nel nostro ordinamento, quando la minaccia è rivolta a un organo istituzionale o a chi lo rappresenta, entra in gioco un perimetro pesante. L’art. 338 c.p. punisce la violenza o minaccia a un Corpo politico quando serve a impedire o turbare l’attività dell’organo. E quando qualcuno “pubblicamente istiga” a commettere reati, c’è anche l’art. 414 c.p.. Non è moralismo: è tutela della convivenza.
Ma la legge da sola non basta se una parte del dibattito pubblico continua a giocare al “distinguo”: condanno però…, sì ma…, capisco la rabbia…, “sono esasperati…”. No. Una scritta che invoca di sparare non è esasperazione: è barbarie.
Una responsabilità culturale, prima ancora che politica
Da cristiani – e, più in generale, da persone normali – c’è una cosa che andrebbe detta senza tremare: l’odio è un peccato sociale prima ancora che un problema di ordine pubblico. Perché corrode il cuore e poi corrompe la lingua, e quando la lingua si abitua alla morte altrui, la società comincia a marcire.
La politica non è una guerra di religione. È governo della cosa pubblica, cioè servizio, nel bene e nel male. E chi trasforma l’avversario in un bersaglio non sta “difendendo la democrazia”: la sta facendo a pezzi, mattone dopo mattone, scritta dopo scritta.
La domanda finale: vogliamo davvero tornare lì?
L’Italia ha già pagato un prezzo altissimo quando qualcuno pensava che “colpire” fosse una scorciatoia. Oggi rivedere certi simboli e certe parole non dovrebbe farci discutere di schieramenti, ma farci scattare in piedi, tutti, con una frase semplice: mai più.
Perché la democrazia muore così: non sempre con un colpo di Stato. A volte muore con una risata complice davanti a una minaccia, con l’alibi del “clima”, con l’idea che “in fondo sono solo scritte”. E poi, un giorno, non sono più solo scritte.

Buongiorno,
dati certi decreti che prevedono pure azioni sovversive etc da parte dei servizi, francamente mi paiono azioni riconducibili all`intramontabile dividi et impera di Stato che necessita del solito rumore di fondo.
Personalmente vedo troppo disinteresse politico nel nostro paese per dare rilievo a questi episodi. Mi pare invece che si sia parlato molto poco di un presunto attentato effettivo svolto da parte dell’estrema destra al Presidente del Consiglio, avvenuto mesi fa. Le risulta?
Cordialmente
A. G.