Addio allo sport: si sono globalizzati pure gli Ultras. La partita la vince il Grande Reset
Nell’era della globalizzazione pure la fatwa degli ultras si è globalizzata e adesso rischia di vincolare mezza Europa in un inedito e pericoloso intreccio di curve all’ultimo sangue. Dal basket al calcio, dalla Serbia all’Italia, come una trentina di Delije della Stella Rossa di Belgrado, tra Bologna e Milano per la doppia sfida nell’EuroLeague di basket contro Virtus e Olimpia, poi finiti a Roma nel dopo gara di sabato sera con l’Empoli: appostati all’esterno dell’Olimpico, in un agguato paramilitare (“Ma questi chi cazzo sò?”, dai giallorossi presi alla sprovvista si sente ripetere nel video), dopo i tafferugli con manganelli e manici di piccone da un furgone rubano pezze e striscioni di Brigata Roberto Rulli e Fedayn, dal 1972 storico gruppo oltranzista della Sud.
Bottino pesante, stoffa che scotta. Movente? Si parla di una soffiata da Bergamo o di una talpa interna, un basista, si ipotizza un tradimento, lo spartiacque per destabilizzare l’ambiente, perché sono andati a colpo sicuro, forse una vendetta trasversale, su commissione, logistica pianificata al dettaglio in una città sconosciuta dopo i recenti scontri tra romanisti e napoletani all’esterno della stazione di servizio di Arezzo in cui nel 2007 il poliziotto Luigi Spaccarotella sparò e uccise il laziale Gabriele Sandri, tra accoltellamento, sassaiole e cinghiate l’Autostrada del Sole bloccata a gennaio da tifoserie accomunate negli anni ’80.
Gli ultras dell’ex Jugoslavia sono infatti gemellati coi partenopei, che smentiscono (“imbroglioni con la i maiuscola”, su Facebook posta la Curva A contro le strumentalizzazioni), in comune avendo però pure l’amicizia coi bulgari del Lokomotiv Plovdiv e la crew greca dell’Olympiakos, acerrima rivale della Gate 13 del Panathinaikos con cui invece sono legati i romanisti come coi Bad Blue Boys Dinamo Zagabria, a loro volta odiati dai belgradesi.
A guidare il settore bollente del Marakana della Stella Rossa c’è poi ancora l’ombra del terribile Ivan Bogdanov (a Genova nel 2010 bloccò nel lancio di razzi Italia-Serbia, nel 2016 era a Reggio Emilia contro il Sassuolo) successore di Željko Ražnatović, la Tigre di Arkan amico di Sinisa Mihajlovic che nella guerra alla Croazia reclutò 3.000 miliziani in curva (nel 2000 uno striscione in suo onore pure dagli Irriducibili Lazio).
Non solo. Le regole non scritte degli stadi vogliono che, come scalpo di battaglia, se la refurtiva trafugata dopo la gogna sui social venisse esposta a mò di sfregio pure sulle gradinate del Diego Maradona, oltre l’ammissione del blitz ‘per procura’ la lotta tra curve potrebbe esplodere ad effetto domino come in una polveriera infiammata. Per gli interisti della Curva Nord Milano 1969 siamo difronte ad una “deriva dei comportamenti ultras senza senso e che può pericolosamente spostare gli equilibri delle dinamiche legate alle rivalità”, mentre ternani e cosentini parlano di infamante imboscata. “Nessuna solidarietà, nessun rispetto per i romanisti”, invece la posizione opposta degli Ultras Lazio, “questa onta storica non è roba che ci riguarda”. Il tiro si è quindi inevitabilmente alzato, siamo al livello massimo dopo l’omicidio del napoletano Ciro Esposito, ferito mortalmente con un colpo di pistola nel 2014 dal romanista Daniele De Santis prima di una finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina.
C’è poi il codice etico, la ‘mentalità’ normata delle tribù del calcio: recisa la seconda pelle, obbliga allo scioglimento il gruppo sottratto del proprio striscione. In passato è stato così per Guerriglieri Roma, Ragazzi della Maratona Torino e Furiosi Cagliari. In attesa della risposta di Curva Sud e quartier generale al Quadraro, il messaggio su un lenzuolo di Napoli aizza intanto l’escalation, la resa dei conti: “morto un papa se ne fa un altro e quando more er prete? Ultima sigla, Fedayn”.
In Grecia, il 10 Marzo, la Stella Rossa basket sfida il Panathinaikos in EuroLeague, per la calcistica Europa League il 16 la Roma è a Salisburgo, mentre per la Champions il 21 il Napoli gioca a Francoforte contro l’Eintracht, 5 ore di auto e due autostrade di distanza: come nel mondo anarchico per il caso di Alfredo Cospito in sciopero della fame da ottobre contro il carcere duro del 41 bis, anche nella galassia ultras soffiano quindi venti di guerra. E pure internazionali, nelle strade, lontano dagli stadi, magari per appuntamento concordato in chat.
Il neo-leviatano manovratore del Grande Reset per ora resta alla finestra e, fermo, osserva e guarda, pronto a cogliere la palla al balzo nell’accelerazione di generalizzate manovre distopiche: identità digitale, riconoscimento facciale e strumenti di tecno-sorveglianza mondiale non aspettano altro per essere sdoganati, legittimati nel clima d’emergenza pubblica e insicurezza sociale. Il dopo 11 Settembre negli aeroporti insegna. La fortificazione del sistema accresce nelle sue stesse crepe, altro che tornelli militarizzati agli ingressi sugli spalti e tessera del tifoso con microchip RFID: la storia dice che sommosse, moti popolari e rivolte etero-dirette servono anche a questo. A legittimare quello che prima non c’era.