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Gancia, le nove domande sul rapimento che ha cambiato la storia delle Brigate rosse

Lauro Azzolini nuovo indagato della procura di Torino – Chi è l’uomo misterioso presente nel conflitto a fuoco dove morirono Mara Cagol e il carabiniere Giovanni D’Alfonso?

Una svolta che arriva dopo quasi cinquant’anni. Erano i primi giorni del giugno 1975 e l’industriale Vittorio Vallarino Gancia veniva sequestrato dalle Br. Oggi per quel rapimento spunta il nome di un secondo indagato. Le novità investigative di queste ultime settimane riportano indietro l’orologio della storia, illuminando capitoli che meritano quindi una profonda rilettura. Secondo i magistrati potrebbe essere Lauro Azzolini, ex capo della colonna milanese delle Brigate Rosse, l’uomo misterioso che si diede alla fuga sulle colline vicino ad Acqui Terme dopo lo scontro a fuoco di Cascina Spiotta, dove persero la vita l’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso e la terrorista Mara Cagol, allora moglie del capo delle Br Renato Curcio.

I pm di Torino Emilio Gatti, Ciro Santoriello e Diana De Martino, sostituto procuratore presso la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, stanno dunque cercando di riscrivere la trama di quel rapimento. Un mese fa gli stessi giudici avevano indagato proprio Curcio, ritenendo che non potesse non sapere di quell’azione criminale. La sua risposta fu che voleva giustizia per Mara Cagol.

Ma perché questo passaggio è così importante? Perché questa storia segna un cambio di passo per le Brigate rosse, che scelsero per la prima volta di finanziarsi a spese di una delle più grandi famiglie della tradizione vinicola piemontese. Gli eventi, tuttavia, non si svolsero esattamente come programmato dai terroristi, innescando così una serie di effetti imprevedibili che arrivano fino a giorni nostri. Il primo di questi effetti, evidente già in quei mesi, fu che questo fallimento portò all’azzeramento di quel gruppo dirigente e a una definitiva accelerazione del terrorismo verso la strategia militare che condusse poi al rapimento Moro.

La riapertura dell’inchiesta

«Quando Bruno D’Alfonso, figlio di Giovanni, mi illustrò tutta la vicenda piena ancora oggi di grandi punti interrogativi, ci siamo messi ad analizzare tutta la documentazione processuale che era intercorsa fino all’anno scorso, ma soprattutto a riesaminare tutte le perizie che erano state allegate nei vari processi svolti». Così l’avvocato Sergio Favretto racconta il percorso che ha portato alla richiesta di riapertura del processo sul rapimento Gancia. Un lavoro che ha avuto come obiettivo «quello di giungere ad una ricostruzione puntuale delle responsabilità del conflitto a fuoco e della dinamica dei fatti, con l’individuazione soprattutto del brigatista che, pur lanciando bombe e sparando sull’aia della Cascina Spiotta a tutt’oggi, è sconosciuto».

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Pubblicato inTerrorismo

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