Oggi come ieri, si può e si deve evitare il disastro nucleare solo a una condizione: che chi vince un conflitto devastante come quello tra Russia e Ucraina ricordi di accordare una onorevole via di uscita all’avversario.
Saper perdere è sempre difficile, ma saper vincere lo è ancora di più.
Prendiamo Armenia e Kosovo. Due esempi clamorosi di vittorie conseguite sul campo e gestite con tracotanza dai vincitori, nel caso dell’Armenia dagli azeri, nel caso del Kosovo dagli albanesi.
Un esempio poco noto ma di grande importanza storica è quello della Svizzera, sconvolta nel 1800 da una breve guerra di religione tra i cantoni cattolici e quelli protestanti. Vinsero questi ultimi, ma ebbero la chiara visione del fatto che un cattivo uso della vittoria sul campo avrebbe portato alla spaccatura della Confederazione.
Si giunse perciò a vari compromessi, alla pratica dei referendum popolari con valore di legge, al regolare i rapporti tra i cantoni concedendo loro larga autonomia e assegnando al governo confederale le storiche materie sulla politica estera, la difesa e la finanza.
Viceversa, nei casi oggi drammaticamente sul tappeto assistiamo a un abuso dei diritti del vincitore, che provoca gravi conseguenze nei rapporti con gli Stati confinanti e garanti degli interessi delle comunità coinvolte nel conflitto.
Nel caso della Guerra del Sonderbund e delle sue conseguenze nella storia della Confederazione Elvetica, sono i cantoni cattolici e conservatori del cuore profondo della Svizzera a porsi nel 1847 in contrasto con i cantoni calvinisti su una questione allora molto sentita in Europa: la presenza dei Gesuiti, con le loro scuole e la loro influenza culturale.
Stranamente, questa breve guerra nel cuore dell’Europa, in un paese in cui gli eventi militari sembrano banditi per definizione, è stata ed è dimenticata, quasi fosse un evento negativo sia per le cause che lo generarono sia per le conseguenze che produsse.
In realtà, dopo questa brevissima guerra, la Svizzera conobbe un principio di concordia nella diversità, di neutralità attiva e fu capace così di affrontare eventi come le due guerre mondiali nelle quali le sue componenti potevano parteggiare per le potenze europee tra loro in conflitto mortale.
Saper vincere è quindi forse la sfida più difficile che attende la parte vincitrice nel conflitto, ma anche quella che soccombe, se le viene offerta una via di uscita onorevole, con una serie di concessioni che evitino in futuro il “revanchismo”, termine nato in Francia dopo la umiliante conclusione della guerra con la Prussia di Otto von Bismarck del 1870.
Fummo anche noi, come neonata nazione europea, ad aggravare tale sentimento con la presa di Roma, non più protetta dalla Francia per la debacle militare di Sedan.
Oggi più che mai l’arma nucleare pone un interrogativo decisivo per il futuro dell’umanità: si può e si deve evitare il disastro solo a condizione che chi vince un conflitto devastante come quello tra Russia e Ucraina ricordi di accordare una onorevole via di uscita all’avversario.
Le memorie di Winston Churchill sulla Seconda Guerra Mondiale ci forniscono numerosi esempi in tale senso: le mutilazioni ipotizzate alla Germania sconfitta furono ridotte al minimo proprio per evitare uno spirito di rivalsa paragonabile a quello della Prima guerra mondiale. Fu solo la Pomerania a subire tale sorte anche se vi furono alti costi umani ed economici.
Anche il Giappone subì sorte analoga con Taiwan e la Corea come principali perdite di sovranità, ma la struttura del paese fu salvata.
Oggi, qualunque sia l’esito del devastante conflitto ucraino, occorrerà una dose di saggezza supplementare, tenuto conto del ricatto nucleare purtroppo sempre possibile, sia sul terreno europeo, sia su quello collegato simbioticamente tra Stati Uniti e Cina cioè sul controllo dell’Indopacifico. Controllo finora condominiale ma sempre più in discesa verso il predominio di una delle due superpotenze avviate a un confronto dagli esiti imprevedibili.
Tornando alla situazione paradossalmente simile – quella del secondo dopoguerra -, il riconoscimento di reciproci ambiti territoriali di garanzia fu accompagnato dalla “invenzione” del non allineamento che ebbe due protagonisti di rilievo: in Europa la Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e in Asia l’India del primo ministro Jawaharlal Nehru.
Oggi una funzione simile appare necessaria anche se difficilmente proponibile per la crescita esponenziale della Repubblica Popolare Cinese, che crea in Asia una reazione di rigetto paragonabile a quella subita in America Latina nei confronti degli Stati Uniti.
Grande saggezza, uso calcolato della forza economica e militare, visione di possibili nuovi equilibri non volti a mettere k.o. l’avversario. Crediamoci. Si lavori in tal senso nelle cancellerie mondiali.