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Le bugie sul repulisti in RAI: ci sorbiremo pure Damilano

Alla faccia di TeleMeloni: lo sponsor di Soumahoro, ed ex direttore dell’Espresso, resta alla tv pubblica. Il retroscena

Le bugie della Sinistra hanno le gambe lunghe e continuano a correre anche quando si sbriciolano, polverizzate dai tarli dal ridicolo. Come quella della “Decima” fascista alla parata del 2 giugno alimentata da Michela Murgia e rilanciata dai vari Saviano, Berizzi e da questo incomprensibile Bottura in fama di umorista, come gli altri del resto, che fa ridere solo suo malgrado. Una bugia ancora più grande è il regime in Rai, repulisti, epurazione, artisti sopraffini che il mondo ci invidia costretti sui treni piombati, deportati. Dunque vediamo: se n’è andato Fazio con le sue brigate rosa, traghettato a La9 a prendere 10 milioni; se n’è andata la Littizzetto di contorno, paragonandosi ai grandi martiri della cristianità; se ne andrà, per non essere da meno, Gramelly che scambia un viado per una fanciulla e una preside ladra per una martire. Se ne sono iti loro, nessuno li ha spinti, al termine di trattative presumibilmente partite quando al governo c’era ancora il partito che li ha impancati e per il quale hanno sviluppato propaganda indefessa, poco inde e molto il resto.

E tutto il resto è noia, noia e militanza, noia e menzogna. Nella Rai fascistizzata, normalizzata, imbavagliata il nuovo potere non sposta una pianta, se mai infila anche i suoi, gonfia gli organici, ma senza silurare nessuno, fatte salve le fisiologiche, benché perverse, esigenze di adeguamento dirigenziale dell’azienda, che è governativa per costituzione. E allora: restano, tra gli altri Bianca Berlinguer, un cognome una garanzia di Rai fin dalla più tenera età, resta Report, al posto della transfuga Annunziata, che non va, almeno lei, a La9 ma direttamente al Parlamento europeo col Pd, piazzano quasi sicuramente l’ex direttora Monica Maggioni che di suo è più governativa della Rai stessa e ricorda la definizione che Agnelli diede della Fiat: “Noi siamo governativi per definizione, con qualunque governo, con qualsiasi comune e con ciascuna delle istituzioni statali”. “È un bell’impegno”, gli rispose Enzo Biagi.

Ma, più di tutti, udite udite, resta Marco Damilano, l’esterno, il transfuga dall’Espresso fallimentare degli intrighi e delle mene russe per far fuori Salvini, e chi sa per conto di chi, chi, chi, chi. Pagato un botto con un programma dagli ascolti gracilini. L’iperblindato, iperprotetto. Iposeguito Damilano. Anche lui resta, inamovibile. Ecco qui servita la dittatura col braccio teso, che si esalta al passaggio della “Decima” che, in Mattarella, riconosce Mussolini. When the lie’s so big, cantava Frank Zappa. Dite che basterà ai compagni con e senza Rolex, ma più con, agli umoristi loro malgrado, ai mestieranti da rivistina, ai battutisti strazianti, ai conduttori stoccafisso, con la barbetta presuntuosa e la faccia di quelli nati presuntuosi, che si tenevano buona la maestra e facevano la spia? Certo che no, non basterà perché questa è gente che si è costruita la carriera sulla boutade, sul vittimismo, e su una palla più grande di tutte le altre: che loro sarebbero bravi, più bravi, preparati, seri, consacrati all’intrattenimento di qualità, fanno ascolti perché piacciono alla gente che piace, piacciono a tutti.

Damilano non piace a nessuno, come, quasi, il pard sudaticcio e pezzato, lo Zoro der Piddì. Due responsabili della buccia mediatica dell’incredibile Soumahoro, per tacere delle altre faccende, di certi trappoloni giornalistici davvero imbarazzanti. Con un curriculum del genere, in una azienda privata si salta. Alla Rai no. Si continua a prendere quei duecento e passa mila all’anno contro quel manipolo di masochisti che ti seguono come carbonari avvolti da una fosca latitanza. Inspiegabile, apparentemente, l’approccio di questa Destra che più cede su tutto e più si sente sputare addosso accuse di nazi trattino fascismo. Perché lo fai? Se Giorgia crede di tenersi buoni i lacchè, sbaglia di grosso e lo vedrà: questa è tutta gente che magari scodinzola, ma alla prima occasione si consacra alla missione, farla fuori. Opportunisti, carrieristi, ma il richiamo della foresta comunista è più forte.

Se vuol dare l’idea di non perdersi dietro le beghe meschine della Rai, chapeau ma allora non si possono fare le cose a metà: lo sappiamo tutti che così non è, che la Rai preme anche a lei, come a tutti, in saecula saeculorum, per la banale ragione che, essendo il sistema perverso, senza la tv pubblica e lottizzata non comandi. Se invece la persistenza del Damilano è un modo per avvertire l’alleato Salvini, una bombetta, un calcetto negli stinchi, allora se la vedessero loro, certo però che cozza un po’ col tanto sbandierato (ma già archiviato) merito, e magari pure con la morale, la riconferma nel servizio pubblico di uno del quale stanno emergendo certe responsabilità. A volte comandare non vuol dire occupare, lottizzare, implica semplicemente la responsabilità di ripulire, perché ci sono o dovrebbero esserci dei limiti. Anche in Rai, persino in Rai.

Max Del Papa

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Pubblicato inSpettacolo

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