Ecco l’Europa, nel suo splendido isolamento ecologista, che ha deciso di trasformarsi nel giardiniere capo del pianeta. L’ultima trovata? Una legge sul “ripristino della natura”, che suona tanto bene quanto un invito a cena da George Clooney a Como. Entro il 2030, gli Stati membri devono trasformare almeno il 20% del loro territorio in un’immagine speculare dell’Eden, con un 30% di habitat più ricchi di un buffet di biodiversità. E non è finita qui, perché le percentuali sono destinate ad aumentare come i like su un selfie di una influencer ecologista.
Ah, l’ambizione! Chi non ammirerebbe un tale slancio verso il verde? Ma, aspetta un attimo… Come esattamente si prevede di attuare questa trasformazione? Forse con un tocco di bacchetta magica o attraverso il vecchio e buon metodo del “ci penseremo domani”? Il piano sembra ignorare gioiosamente la complicata relazione tra l’uomo e l’ambiente, preferendo un ritorno a un passato idealizzato, dove le fabbriche di unicorni sputavano arcobaleni anziché CO2.
E poi c’è l’inevitabile autogol di attribuire ogni male del mondo allo sviluppo industriale. Sì, perché apparentemente un’Europa più povera e tecnologicamente arretrata sarebbe una fortezza impenetrabile contro i mali del mondo. Dimenticate la forza politica ed economica; l’autosufficienza è sopravvalutata quando puoi abbracciare alberi geneticamente non modificati e respirare aria filtrata dalle narici di Madre Natura stessa.
E mentre l’Europa si impegna in questo slancio utopico verso la sostenibilità totale, il resto del mondo… beh, il resto del mondo continua a girare, probabilmente un po’ perplesso davanti a questo spettacolo. Cina, Russia, e compagnia bella non sembrano particolarmente preoccupati di unirsi a questa corsa verso il verde, forse perché occupati a contare i profitti derivanti dalla loro meno romantica, ma decisamente più pragmatica visione del progresso industriale e tecnologico.
Ma non temete, perché l’Europa ha un piano: smetterla con i “no”. I “no” ideologici, i “no” demagogici, che presumibilmente tengono l’Europa isolata in una bolla di buone intenzioni e scarsi risultati. Perché, come sappiamo, l’inferno ecologico è lastricato di buone intenzioni, e l’Europa sembra intenzionata a pavimentarlo con una dedizione degna di miglior causa.
E poi ci sono le pratiche implicazioni di questa legge. Rimuovere dighe, lasciare che i fiumi inondino liberamente, trasformare terre coltivate in paludi… perché chi ha bisogno di agricoltura quando puoi avere un’infinità di zanzare malaria-free e castori che banchettano sulle vestigia della tua infrastruttura idraulica?
In questo delirio verde, si dimentica un punto fondamentale: la natura va governata, non resa selvaggia con un colpo di spugna legislativo. L’umanità ha trascorso millenni a imparare come convivere con l’ambiente, plasmandolo tanto quanto esso ha plasmato noi. Questo non significa che dobbiamo trasformare ogni angolo di terra in una distesa di cemento, ma che la cura della natura richiede equilibrio, pragmatismo e, soprattutto, la consapevolezza che le soluzioni non possono essere né totalmente industriali né completamente idilliache.
“Adelante, con juicio”, diceva Manzoni, suggerendo di procedere con saggezza. E magari, prima di impegnarci a trasformare l’Europa nel set di un remake di Avatar, potremmo prendere un momento per riflettere su cosa significhi realmente prendersi cura della natura per il bene comune. Perché, alla fine, l’obiettivo dovrebbe essere la creazione di un mondo vivibile per tutti, non solo un paradiso per gli eco-idealisti.