Immaginatevi la scena: un uomo avvolto in un manto di vittimismo, con una corona di spine editoriale, pronto a marciare verso la sua Golgota personale, la Fiera del Libro di Francoforte. Sì, signore e signori, stiamo parlando di Roberto Saviano, l’indomabile autore di “Gomorra”, che questa volta si è trovato “escluso” da un evento di tale importanza da provocare un’eco che ha rimbombato nei corridoi dell’editoria italiana. Peccato che, come spesso accade in queste tragicommedie contemporanee, la verità sia molto meno eroica e molto più farsesca.
Ecco i fatti: secondo un’inchiesta de Il Foglio, non c’è stata alcuna mano censoria del governo, nessun complotto ordito dal perfido commissario governativo Mauro Mazza. Il motivo dell’assenza di Saviano dalla lista degli autori italiani proposti per la Fiera di Francoforte è semplice: nessuno dei suoi editori ha ritenuto opportuno includerlo. Sì, avete letto bene, nessuno. Né Mondadori, né Feltrinelli, né Bompiani, né Solferino hanno pensato che Saviano meritasse un posto alla Buchmesse. Robé, caro, non sei stato censurato, semplicemente non ti hanno invitato. E non perché il governo abbia detto di no, ma perché i tuoi editori hanno detto di no.
Ma questo, chiaramente, non poteva fermare la macchina del martirio savianesco. Ah, il martirio! Così allettante, così redditizio, soprattutto in un mondo dove essere vittima è diventato un business. Così, la narrativa si è spostata rapidamente dal “perché non è stato invitato?” al “come osano non invitarlo?”. E gli scrittori solidali, pronti con le loro penne come lance, si sono immediatamente uniti alla crociata. Sandro Veronesi e altri, in segno di solidarietà, hanno rinunciato alla Fiera di Francoforte. Ma solidarietà per cosa, esattamente?
E qui entra in gioco la comicità involontaria della vicenda. Perché mentre Veronesi e compagnia briscola rinunciano al loro posto alla Fiera, il nostro Roberto, con un colpo di teatro degno di una telenovela, annuncia che a Francoforte ci sarà comunque, invitato dai librai tedeschi. Lui sì, loro no. Il che ci fa chiedere: ma questi colleghi che solidarizzano, lo fanno per Saviano o per mettersi in mostra? Perché, parliamoci chiaro, l’immagine del martire fa comodo a molti, soprattutto a chi cerca di ritagliarsi un posticino al sole dei riflettori mediatici.
Ma torniamo un attimo alle dinamiche della Fiera del Libro di Francoforte. Per essere invitati, gli editori segnalano alla AIE (Associazione Italiana Editori) e alla Commissione governativa gli autori che intendono promuovere. Il commissario, in questo caso Mazza, può aggiungere altri nomi, ma solo dopo che gli editori hanno fatto le loro scelte. Le liste vengono chiuse con mesi di anticipo, e quella di quest’anno è stata chiusa il 31 luglio 2023. Dunque, se Saviano non è nella lista, è perché nessuno ha pensato di mettercelo. Ecco, fine della storia.
E allora, cari lettori, cosa possiamo dedurre da tutta questa pantomima? Primo, che il martirio è un’arte sottile, e Saviano ne è un maestro. Secondo, che i suoi colleghi solidali forse dovrebbero prendersi una pausa e riflettere se stanno lottando per una causa giusta o semplicemente per il proprio tornaconto. E terzo, che la verità, quella vera, è sempre meno spettacolare della narrativa di un buon libro, ma decisamente più utile per capire come girano davvero le cose.
Roberto Saviano, l’uomo che ha fatto della denuncia il suo marchio di fabbrica, questa volta si trova a dover fare i conti con una realtà molto meno eroica. Non c’è stata censura, non c’è stata persecuzione, solo una mancata inclusione in una lista da parte di chi, a quanto pare, non ha ritenuto necessario includerlo. E mentre lui si gode l’invito dei librai tedeschi, i suoi sostenitori rimangono con un pugno di mosche, a chiedersi perché hanno rinunciato alla Fiera per un martire che, a ben vedere, martire non è.
E così, la prossima volta che sentirete parlare di censura e di martirio, ricordatevi di questa storia. Ricordatevi che spesso, dietro la facciata del vittimismo, si nascondono semplicemente scelte editoriali e un po’ di sano, vecchio marketing. Perché alla fine, come diceva qualcuno molto più saggio di me, “non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere”. E in questo caso, l’unica cosa che bisognava vedere era la lista degli invitati. E Saviano, purtroppo per lui, non c’era. Fine della storia. O forse no?
Perché, cari lettori, in questo mondo di apparenze e di percezioni, chi può dire quando davvero finisce una storia? E chissà, magari l’anno prossimo Saviano sarà di nuovo sulla bocca di tutti, con un altro martirio, un’altra esclusione, un’altra battaglia da combattere. E noi saremo qui, pronti a raccontarvela, con la solita ironia e il solito gusto per la verità, anche quella scomoda. Alla prossima puntata.
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