Ci negano i nomi, ci negano i fatti. Ci impediscono di raccontare in modo puntuale la realtà ai lettori, ma soprattutto di esercitare una delle funzioni principali del giornalismo in una democrazia: il controllo sul potere. Si aggrappano a un principio sacrosanto, sancito dalla Costituzione e precipuo dovere deontologico di ogni cronista: la presunzione d’innocenza, ovvero il fatto che nessuno può essere ritenuto colpevole prima di una condanna definitiva. Ora, però, ci negano pure proprio le sentenze definitive, oscurandole dal sito della Cassazione, quindi è evidente che lo scopo non è garantire quel diritto. Oggi – con questo ulteriore limite al diritto di cronaca – possiamo dire di averli stanati, cioè che sappiamo e abbiamo pure le prove.
Non è azzardato pensare, infatti, che il Parlamento – composto peraltro da molti deputati col tesserino da giornalista in tasca, a cominciare dalla premier Giorgia Meloni – ha fatto passare la presunzione d’innocenza “rafforzata” (norma pensata da una stimata giurista che è stata persino presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia) perché mirava ad altro.
La Cassazione oscura le sentenze definitive
Da diverse settimane, come abbiamo raccontato a fine marzo, è impossibile consultare liberamente i verdetti definitivi della suprema corte dal sito che per anni li ha pubblicati integralmente, Italgiure.it. Un servizio che – così abbiamo appreso in questi giorni parlando con gli uffici del Palazzaccio – sparirà per sempre, a danno anche degli avvocati, e al quale non si potrà accedere neppure pagando. Solo i magistrati in futuro potranno leggere le sentenze della suprema corte in forma completa e senza censure. Gli altri? Potranno vedere solo quelle “massimizzate” e tutte comunque rigorosamente “anonimizzate”. Anche se quelle stesse sentenze vengono emesse da giudici pagati dalla collettività e “in nome del popolo italiano”. Evidentemente, però, “il popolo italiano” non le deve conoscere.
Ricapitolando: prima è stata “rafforzata” la presunzione d’innocenza, nascondendosi dietro a una direttiva europea rimasta a vagare per anni in Parlamento e che dice cose ben diverse da quelle poi recepite dal nostro Paese – si limita, sostanzialmente, a sanzionare i magistrati che parlano con i cronisti – e contestualmente si è deciso di sacrificare la libertà di stampa e un altro diritto fondamentale dei cittadini, quello di essere informati. Diritto che non a caso i Padri costituenti hanno inserito all’articolo 21, prima dunque della presunzione d’innocenza (articolo 27): dove non c’è il primo, a nulla vale il secondo.
I nomi dei condannati resteranno segreti
Il risultato è che, in fase d’indagine, non possiamo sapere nomi e fatti per preservare la presunzione d’innocenza “rafforzata” degli indagati; ci vengono nascosti omicidi, rapine, persino incidenti stradali e arresti; secondo gli “integralisti” di questa nuova norma, non dovremmo scrivere neppure in maniera completa delle sentenze di primo e secondo grado. Ma adesso ci levano pure la Cassazione, i verdetti definitivi, coi quali la presunzione d’innocenza, rafforzata o meno, viene ovviamente superata dall’eventuale condanna definitiva dell’imputato.
Mai come in questi giorni – e giustamente – è vivo il dibattito sull’antifascismo. Si discute dell’humus culturale che ispira alcuni componenti del governo nazionale, che non perdono occasione anche per lasciarsi andare a un insopportabile quanto strampalato revisionismo storico. Si parla di libertà, di Resistenza, di dittature. Nessuno parla invece di tutti questi provvedimenti liberticidi, introdotti subdolamente e senza spiegazioni, che impediscono al giornalismo di svolgere la sua funzione e ai cittadini di sapere come viene amministrata la giustizia.
Senza trasparenza, siamo una democrazia?
Mentre si guarda il dito forse è il caso di ricordare che le dittature nascono tutte così, cioè limitando la libertà di stampa e diffondendo “veline” costruite ad arte e dalle quali è impossibile discostarsi, omologando le notizie e lasciando trasparire a reti unificate solo ciò che fa più comodo a chi detiene il potere. Sappiamo poi che solo un cittadino informato può partecipare attivamente alla vita democratica. Quindi il disegno che si cela dietro tutto questo apparato normativo qual è?
La risposta è molto semplice, ma – siccome siamo garantisti e crediamo alla presunzione d’innocenza – in attesa che il Parlamento intervenga sul tema (come è stato ripetutamente sollecitato anche dall’Ordine dei giornalisti) e riveda drasticamente questi provvedimenti, non emetteremo una “sentenza” definitiva e non daremo la risposta. In base agli elementi raccolti finora, però, non possiamo non pensare che l’unico scopo di queste norme è imbavagliare la stampa e, si badi bene, non per garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini, ma solamente quelli dei potenti, di quelli seduti proprio in Parlamento. Per i quali – diciamocelo – anche se tutto viene raccontato con correttezza, non piace per nulla finire sui giornali per un avviso di garanzia o una condanna. A chi comanda, semplicemente, non piace essere controllato. E anche questo stona parecchio con quelle che dovrebbero essere le coordinate basilari di una democrazia. Cronisti che non possono scrivere, cittadini che non possono sapere: ma siamo sicuri che questa sia ancora una democrazia?
Sandra Figliuolo