D’Alema indagato per corruzione internazionale ma i media tacciono
La notizia che un ex Presidente del consiglio sia accusato di corruzione internazionale aggravata dovrebbe essere di interesse pubblico, ma sembra che il sistema mediatico italiano sia privo di buon senso. Sono pochi i resoconti dettagliati sulla vicenda, che è ancora tutta da chiarire.
I fatti sono i seguenti: la Procura di Napoli sta contestando otto indagati, tra cui Alessandro Profumo, Massimo D’Alema, Giuseppe Giordo, Gherardo Guardo, Umberto Claudio Bonavita, Francesco Amato, Emanuele Caruso e Giancarlo Mazzotta, per il reato di corruzione internazionale aggravata. Questo reato sarebbe stato commesso attraverso la collaborazione di un gruppo criminale organizzato attivo in diversi Paesi, tra cui Italia, Stati Uniti, Colombia e altri. Al centro dell’indagine c’è la vendita di aerei M346, corvette e sommergibili italiani con partecipazione pubblica a favore della Colombia, da parte di aziende come Leonardo e Fincantieri.
In altre parole, Baffino, che in passato era già stato accusato di aver trasformato Palazzo Chigi in una “merchant bank” nel 1998, viene ora accusato di aver partecipato a un’operazione di compravendita di armi e navi per la Colombia, dalla quale i mediatori avrebbero ottenuto un “compensone” di 80 milioni di euro da spartirsi tra vari “consulenti”, tra cui lo stesso D’Alema.
È vero che D’Alema non è più in Parlamento e non fa più politica da tempo, ma rimane un osservatore attento e commentatore delle vicende istituzionali del Paese. Inoltre, grazie al patrimonio di contatti e conoscenze che ha accumulato durante la sua lunga carriera politica, può ancora essere coinvolto in operazioni commerciali e finanziarie all’estero.
Non ci sono prove inoppugnabili contro di lui al momento, poiché l’indagine non ha ancora prodotto risultati sensazionali. Tuttavia, le indagini a suo carico sono di per sé una notizia importante, soprattutto considerando il contesto internazionale delle operazioni che gli vengono contestate.
I media sembrano però essere in uno strano stato di torpore di fronte a Baffino, evitando di affrontare la questione in maniera approfondita e limitandosi a pochi aggiornamenti. Da un lato, potremmo essere contenti che per una volta si rispetti la presunzione di innocenza nella narrazione delle inchieste che coinvolgono personaggi politici, senza dare inizio a processi mediatici sulla base di semplici avvisi di garanzia. D’altro canto, tuttavia, sarebbe ingiusto non confrontare questa vicenda con altre simili, ma anche meno gravi, che hanno suscitato l’entusiasmo della giustizia mediatica.
Senza dover tornare all’ennesimo linciaggio mediatico subito per decenni da Silvio Berlusconi, possiamo considerare l’inchiesta che ha coinvolto i vertici della Lega (la vicenda Metropol-Savoini-Salvini e i presunti finanziamenti illeciti dalla Russia al Carroccio) che è poi finita in nulla. Per quattro anni, alcuni mezzi di informazione hanno martellato i protagonisti di quella vicenda, cercando particolari succulenti che non sono mai stati trovati. Sono state violate la privacy e la dignità delle persone coinvolte, eppure uno dei giornalisti che si è maggiormente impegnato nella narrazione di quella vicenda, Marco Damilano, sembra essere stato riconfermato alla Rai con un proprio programma per la prossima stagione.
Se al posto di Massimo D’Alema ci fosse stato un altro politico, l’atteggiamento dei media sarebbe stato altrettanto mite? Gli sviluppi della vicenda che coinvolge un esponente di spicco dei post-comunisti appaiono inquietanti, anche se tutto deve ancora essere chiarito. Pur rispettando la presunzione di innocenza e utilizzando tutte le formule di prudenza necessarie, l’inchiesta di Napoli dovrebbe essere raccontata nei suoi sviluppi e fino all’ultima evoluzione, senza censure né soggezione.
Quante inchieste come quella che riguarda D’Alema hanno visto giornalisti pubblicare documenti riservati, intercettazioni, conversazioni private e addirittura riferimenti ai conti bancari dei protagonisti? Quante volte il segreto istruttorio è stato violato e si è verificato un cortocircuito tra giustizia e informazione? In questa vicenda, tuttavia, non sta succedendo nulla del genere. I talk show e alcuni telegiornali sembrano addomesticati e non si addentrano minimamente nella questione, mentre in passato, per inchieste simili ma con protagonisti diversi, hanno scelto senza remore la strada dell’umiliazione mediatica. Ancora una volta, ci troviamo di fronte a un doppio standard. L’indignazione popolare viene stimolata in base all’identità di chi viene colto con le mani nella marmellata. Tutto ciò non ha nulla a che fare con l’informazione di pubblica utilità e getta una luce poco favorevole sulla correttezza di certi media e sugli interessi opachi che si nascondono dietro le loro proprietà.