Non una nuova Predappio, né un luogo per nostalgici, ma un racconto della Repubblica sociale italiana basato sul rigore scientifico. Lo avevano assicurato sin da subito i curatori della sezione museale ‘L’ultimo fascismo 1943-1945. La Repubblica sociale italiana’ al MuSa – Museo di Salò, aperto al pubblico da oggi, anche se non è mancata qualche polemica. Il percorso espositivo voluto dal Comune di Salò e dalla Fondazione Opera Pia Carità Laicale ed Istituto Lodroniano, e sostenuto anche da Regione Lombardia, rinnova ed amplia la sezione già esistente.
In un periodo in cui azioni di gruppi studenteschi che si richiamano al fascismo sono diventati casi di cronaca sempre più frequenti, la delicatezza dell’operazione è sempre stata molto chiara ai curatori, gli storici Roberto Chiarini, presidente del Centro Studi Rsi, ed Elena Pala, entrambi docenti dell’Università degli Studi di Milano, con Giuseppe Parlato, professore dell’Università degli Studi Internazionali di Roma e presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice. D’altra parte, proprio a marzo il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, ha annunciato lo stanziamento di 10 milioni per realizzare il Museo dell’Olocausto a Roma, segno che qualcosa, nel racconto del Ventennio, sta forse cambiando.
“Non esiste un passaggio della nostra storia recente su cui si sia realizzata una memoria, non diciamo condivisa, ma nemmeno pacificata. Non esiste – ricordano Chiarini e Pala – sulla formazione dell’Italia unita. Non esiste sulla prima guerra mondiale. Tanto meno, esiste sul fascismo e sui 600 giorni della Repubblica di Salò. Siamo i primi, perciò, a essere consapevoli dell’azzardo connesso al proposito di allestire un museo della Rsi”.
I curatori assicurano di aver vigilato, perciò, “sul pericolo che il combinato delle immagini, dei documenti, dei reperti proposti non inclinasse verso l’apologia della Repubblica sociale italiana”.
La sezione è strutturata in due ambienti. Il primo illustra gli antefatti, ossia il periodo che va dalla caduta di Mussolini (25 luglio del 1943) al sorgere della cosiddetta Repubblica di Salò (18 settembre 1943).
La seconda parte dell’esposizione affronta invece in modo sistematico la vicenda della Rsi dalla sua istituzione alla caduta. Attraverso oggetti d’epoca e ricostruzioni multimediali sono illustrati innanzitutto i caratteri del nuovo Stato repubblicano sulle sponde del Garda: dall’esercito di leva alle milizie di volontari, dalla socializzazione alla persecuzione razziale, dai rastrellamenti dei partigiani alle stragi di ‘ribelli’ e civili.
Si legge nella presentazione dell’iniziativa:
Salò e la Riviera occidentale del Lago di Garda sono stati tra l’ottobre del 1943 e l’aprile del 1945 l’epicentro della Repubblica sociale italiana: lo Stato creato da Mussolini dopo la firma dell’armistizio con cui l’Italia di Vittorio Emanuele III e di Badoglio ha posto fine all’alleanza con la Germania di Hitler, ma non alla guerra.
Di colpo, gli italiani si trovano sottoposti a due eserciti occupanti (tedesco al Centro Nord, anglo-americano al Sud) e divisi in due Stati (la Repubblica di Salò nell’Italia centro-settentrionale, il Regno del Sud in quella meridionale). Alla Liberazione mancano ancora seicento lunghi giorni. Al calvario della guerra più sanguinosa della storia (cadono 443.000 italiani) si aggiunge la lacerazione di una guerra civile che non risparmia nulla della ferocia e delle violenze di uno scontro fratricida.
Caduto il fascismo, la Repubblica sociale non muore del tutto. Continua a vivere nella memoria. Una memoria inesausta e maledetta: un incubo per gli antifascisti, una nostalgia per i neofascisti.
I civili
Un faro viene acceso poi sul calvario sofferto dagli italiani in questi 600 giorni: bombardamenti, lutti, sfollamenti, fame, mercato nero. L’ultima parte della mostra affronta il lascito della RSI nella prima Repubblica: mito per i nostalgici, anti-mito per i democratici. «Repubblica sociale italiana e Repubblica di Salò sono un’endiadi indissolubile – commenta Alberto Pelizzari, presidente del MuSa -. Era quindi un dovere affrontare la nostra storia nel momento in cui si incrocia con quella del Paese”.
Da parte sua, il sindaco di Salò, Stefano Cipani ha chiarito che non c’è “nessuna tentazione apologetica, nessun spirito di parte ci hanno ispirati. Il museo offrirà agli italiani un’occasione unica di rilettura critica di quegli anni che hanno insanguinato l’Italia” mentre per l’assessore regionale alla Culnti sull’entità e tura, Francesca Caruso, riscoprire questo passato «era un dovere”.
L’Anpi
Per smorzare le polemiche che erano seguite all’annuncio dell’apertura della sezione, il progetto scientifico era stato presentato ad Anpi e Fiamme Verdi, ma l’associazione partigiani bresciana conferma le sue riserve. «Non siamo stati invitati formalmente all’inaugurazione – ha detto Lucio Pedroni,presidente di Anpi Brescia – né abbiamo avuto chiarimenti sulla provenienza dei fondi con cui è stata realizzata questa sezione e su alcune critiche che avevamo sollevato. Manteniamo, quindi, le nostre riserve su alcuni punti deboli, ovvero quello che la Rsi ha fatto verso gli ebrei, la repressione partigiana, l’assoluta sottomissione al Terzo Reich. Per noi resta un’operazione agiografica».