In un’eclatante testimonianza, Yoni Saadan, 39 anni, ha rivelato dettagli strazianti del massacro perpetrato da Hamas in un rave vicino a Gaza, un episodio di terrore che ha scosso il mondo. La sua storia, una narrazione di coraggio e sopravvivenza, mette in luce l’orrore inaudito a cui sono state sottoposte numerose vittime innocenti. Per otto ore interminabili, Saadan ha simulato la morte, celato sotto i corpi senza vita dei suoi amici, testimone silenzioso di atrocità inimmaginabili. Le sue parole, ora parte di un’inchiesta condotta dalla Corte di Giustizia Internazionale, rivelano uno scenario di devastazione, dove i terroristi hanno stuprato e abusato in modo barbaro delle donne presenti.
Le dichiarazioni di Saadan, corroborate da prove e testimonianze, dipingono un quadro raccapricciante dell’aggressione e della crudeltà di Hamas, un’organizzazione che non ha esitato a commettere atti di violenza sessuale, tortura e omicidio. Questi crimini orrendi, compiuti con spietata indifferenza, hanno suscitato indignazione e richieste di giustizia a livello internazionale. Il procuratore della Corte di Giustizia Internazionale, sollecitato dall’avvocato delle famiglie degli ostaggi Yuval Sasson, ha avuto l’opportunità di confrontarsi con questa realtà sconcertante, ascoltando le testimonianze dirette e visionando i filmati diffusi dalla stessa Hamas.
Il caso ha sollevato interrogativi profondi e inquietanti sulla natura del terrorismo e sull’assenza di risposte adeguate da parte della comunità internazionale. Il silenzio e l’inazione, soprattutto nei confronti delle violenze sessuali e delle atrocità commesse, sono stati oggetto di forte critica. Nonostante le evidenze schiaccianti, il mondo sembra aver voltato lo sguardo altrove, lasciando le vittime in uno stato di abbandono e disperazione.
Questo silenzio è stato particolarmente evidente nella risposta delle organizzazioni femministe e dei movimenti per i diritti delle donne. La mancanza di una condanna forte e unanime contro le violenze di Hamas contrasta drammaticamente con il loro solito attivismo. Questa discrepanza ha suscitato domande scomode sul perché certi crimini ricevano attenzione e altri vengano ignorati, creando un senso di ingiustizia e disuguaglianza nella lotta contro la violenza di genere.
Le testimonianze di donne coraggiose come Shreen, una giovane araba che lotta per i diritti delle donne in Palestina, e le parole di Hanna, una militante femminista, rivelano un profondo senso di frustrazione e indignazione. Il loro impegno per i diritti delle donne e il loro lavoro nelle cooperative femminili per sostenere le famiglie in Palestina vengono oscurati da una narrazione che sembra ignorare le reali sofferenze e lotte quotidiane delle donne in questa regione.
Le organizzazioni femminili israeliane, costituendo la “Commissione civile per i crimini di Hamas contro le donne”, hanno messo in luce l’ipocrisia e l’indifferenza globale. La loro domanda “Dove sono i movimenti femministi? Dov’è il movimento Me too?” risuona come un grido di protesta contro un silenzio colpevole che ha permesso a questi crimini di rimanere nell’ombra. La mancanza di attenzione da parte di figure mediatiche influenti, come l’anchorwoman della Cnn, Christiane Amanpour, e l’assenza di condanna da parte delle organizzazioni internazionali, come l’Onu, solleva preoccupazioni sulle priorità e sull’integrità di queste istituzioni nel combattere la violenza di genere.
La storia di Dalia Ziada, una giornalista e scrittrice egiziana, simboleggia il coraggio e la resilienza di molte donne che hanno osato parlare contro Hamas, nonostante le minacce e le intimidazioni. La sua fuga dall’Egitto e la persecuzione sui social media per aver espresso opinioni critiche nei confronti di Hamas illustrano la pericolosa realtà a cui molte donne sono esposte nel Medio Oriente.
La mobilitazione delle femministe israeliane, culminata nello slogan “Credete alle donne israeliane” (#believeisraeliwomen), ha finalmente spinto Un Women a riconoscere esplicitamente i crimini di Hamas. Questo cambio di rotta, sebbene tardivo, rappresenta un piccolo passo verso il riconoscimento e la condanna delle atrocità commesse, aprendo la strada a una maggiore consapevolezza e azione globale contro la violenza di genere in contesti di conflitto.