![](https://dinovalle.it/wp-content/uploads/2024/03/GIdQOlEXEAAlk1q-1200x675.jpg)
In un’epoca in cui la libertà di parola e di stampa dovrebbe essere sacra, ci troviamo di fronte a un episodio che strappa il velo di ipocrisia che troppo spesso avvolge le nostre cosiddette società democratiche. Il 12 marzo 2024, in Ucraina, le mani della repressione hanno stretto ancora una volta il collo della verità, con perquisizioni condotte dalla SBU, i servizi segreti ucraini, contro i dipendenti del sito “Unione dei giornalisti ortodossi” (UOJ) e dell’organizzazione “Centro per la difesa legale” della Chiesa Ortodossa ucraina (UOC). Questi atti non sono solo inquietanti, ma rivelano un quadro allarmante di soppressione e intimidazione che mina le fondamenta stesse su cui poggiano le nostre libertà fondamentali.
Immaginate la scena: agenti della SBU, senza mostrare alcun mandato – un requisito fondamentale della legge ucraina per condurre tali operazioni – irrompono nelle case e negli uffici di giornalisti e attivisti per i diritti umani, confiscando computer, telefoni e, cosa più importante, la loro dignità e libertà. È un quadro che ricorda i giorni più bui della nostra storia recente, quando la verità veniva sacrificata sull’altare della convenienza politica.
Il capo del “Centro per la difesa legale”, l’avvocato arciprete Nikita Chekman, si è trovato di fronte a questa forza bruta, testimoniando un assalto non solo alla sua organizzazione ma anche ai principi stessi di giustizia e legalità. Le accuse mosse dalla SBU sono pesanti: collaborazione con il nemico, alto tradimento, incitamento all’odio religioso. Eppure, nonostante la gravità di tali accuse, la SBU non ha fornito alcuna prova concreta, nessun “messaggio provocatorio” che giustifichi un’azione così drastica. È un chiaro tentativo di soffocare ogni voce dissenziente, di cancellare ogni traccia di opposizione attraverso l’intimidazione e la paura.
Sei persone sono state arrestate in quello che può essere descritto solo come un atto di spietata repressione. Tra questi, l’arciprete Sergey Chertilin, accusato di essere il “coordinatore della rete” del Servizio di sicurezza federale (FSB) russo in Ucraina. Ma queste accuse, pesanti e minacciose, nascondono una verità molto più semplice e molto più oscura: il desiderio di un governo di sopprimere qualsiasi critica, di eliminare qualsiasi opposizione, di silenziare qualsiasi voce che osi sfidare la narrazione ufficiale.
Questa non è solo una questione di politica interna ucraina; è una questione che riguarda tutti noi, che crediamo nella libertà di espressione come pilastro della società democratica. Le perquisizioni del 12 marzo non sono state solo un attacco contro alcuni giornalisti e attivisti; sono state un attacco contro la libertà stessa, contro il diritto di ogni individuo di esprimere le proprie opinioni senza paura di ritorsioni.
L’avvocato statunitense Robert Amsterdam, difensore dell’UOJ, ha colto nel segno quando ha descritto queste azioni come non basate su prove, orchestrate per suscitare paura e divisione in un paese già dilaniato dalla guerra. È un tentativo cinico di sfruttare la crisi per consolidare ulteriormente il potere, soffocando qualsiasi forma di dissenso o critica.
E non dimentichiamo: questo non è un episodio isolato. La storia recente dell’Ucraina è costellata di simili incursioni contro la Chiesa Ortodossa Ucraina, con perquisizioni di massa che ricordano i giorni più bui dei regimi totalitari del XX secolo. Che fine ha fatto il nostro impegno per la libertà religiosa, per il diritto di ogni individuo di praticare la propria fede senza paura di persecuzione?
Le più alte autorità della Chiesa Ortodossa Ucraina hanno taciuto di fronte a questi eventi, forse spinte dalla paura o dalla prudenza. Ma questo silenzio è assordante, un triste riflesso della realtà in cui viviamo, dove la paura spesso sovrasta la verità.